Buongiorno colleghi.

Mi chiamo Silvano Biagiola e sono un infermiere. Ed é con profondo orgoglio che dico questo.  

Questa é una lettera aperta. É aperta al dialogo, é aperta alla comprensione e all'ascolto, ma soprattutto é aperta al cuore e ai sentimenti di chi legge.

Da poco ho terminato la magistrale in scienze infermieristiche ed ostetriche. Il corso di laurea mi ha sicuramente dato tante nuove competenze, trasmesso nuove informazioni e ribadito concetti e leggi che avevo già affrontato nella triennale e durante il lavoro nei reparti.  

Di questo sono grato: studiare e apprendere mi rende piú libero e fiero della mia professione.  

Quello che ho visto, peró, é anche altro: infermieri che, per mantenere un pó di prestigio o anche semplicemente per il piacere di insegnare, accettano di fare lezioni senza prendere soldi o benefit di nessun tipo.  

Oppure lamentarsi all'infinito e poi nel concreto fare poco. E spesso, alla radice di questo, c'è la paura. O almeno io noto molto spesso questa emozione, perché probabilmente la provo spesso anche io.  

Ciò che ho visto durante la magistrale è esattamente uguale a quello che vedo negli ospedali romani (io conosco questa realtá territoriale): infermieri che hanno paura di una "lettera di richiamo", infermieri che si lamentano all'infinito, infermieri che accettano di diventare coordinatori a volte senza titolo (e quindi anche senza soldi), a volte con il titolo ma straesuberati di lavoro e responsabilità, infermieri continuamente demansionati e sotto evidenti tensioni di stress, insoddisfazione e carico di lavoro che consentono terreno fertile allo sviluppo  della sindrome del Burn out.  

Vero che spesso ciò è anche frutto di una politica sanitaria assassina.  

Ma oggi credo che, soprattutto, siamo noi infermieri che rendiamo possibile questo scempio.  

Perché non siamo uniti, e lavoriamo e viviamo costantemente nella paura : perdere il posto, essere richiamati o denunciati, fare del male a qualcun*, avere ancora piú responsabilità, ammalarci, paura di essere chiamati dottori...   Ora queste mi vengono, ma so che sono molte di piú le paure che affliggono gli infermieri.  

Dico tutto ciò perchè io ovviamente non sono diverso.

Sono un essere umano e vivo anche io costantemente tutto ciò.  Ho conosciuto varie realtà ospedaliere private (da dipendente e libero professionista), ho conosciuto realtá territoriali come centri di salute mentale e assistenza domiciliare. Ho lavorato soprattutto nell'area critica ma anche in reparti di degenza come medicina e chirurgia. Ho lavorato per anni al Covid.  

Nel pubblico ho lavorato poco tramite una coop. Ma è vero che ho svolto comunque tre anni di tirocinio all'interno di un grande ospedale romano (Policlinico Umberto I).

Qualcosa ho vissuto, quindi. E ho vissuto spesso tanta paura e tante emozioni pesanti.  

Io sono molto emotivo, è vero.   Ma sono anche profondamente grato di essere un infermiere e poter svolgere una professione così bella e utile.

Nonostante l'ambiente, nonostante le persone e nonostante me, nel mio cuore c'é tanto posto ancora. Porto con me tanti sorrisi e tante frasi e battute di molte persone che ho assistito, di molti colleghi, e tanti tanti ricordi felici.  

Noi siamo il futuro della sanità.   

Credo che solo se affrontiamo queste paure e cerchiamo di trovare i legami che ci uniscono (invece di trovare le differenze che ci separano) possiamo migliorare il nostro status.

E non solo come infermieri e professionisti, ma soprattutto come esseri umani.  

Prendiamoci ciò che è nostro.  Riprendiamoci la dignità.  

Vi auguro il meglio.

Grazie per l'attenzione.  

Dott. Silvano Biagiola, infermiere

 

Foto di Andrys Stienstra da Pixabay