Valorizzare gli Infermieri Docenti: Una categoria bistrattata e di nicchia

Come scegliere il giusto professionista/docente per evitare che si origini confusioni e che possano innescarsi dubbi o debolezze con ripercussioni sul discente?

Non esiste una ricetta perfetta ma come in tutte le cose strutturate in modo efficiente, le competenze diventano quella risorsa nel cassetto degli attrezzi da possedere in modo imprescindibile; tra le quali troviamo hard skills e soft skills, a loro volta suddivise a seconda delle categorie: educative, organizzative, progettuali, valutative, relazionali, comunicative (verbali e non).

Nello specifico, nella scelta del docente l’università dovrebbe tener conto dei seguenti criteri in modo decrescente:

1. Possesso della Laurea Magistrale in Scienze Infermieristiche ed Ostetriche (criterio escludente)

2. HARD SKILLS: competenza specifica in cui viene privilegiato in primis i possessori di Master di specifico ambito di insegnamento associandola all’anzianità di servizio nella propria aerea di competenza, se non in possesso del relativo titolo basarsi sull’esperienza lavorativa e i corsi formativi specifici in possesso facendo riferimento agli ultimi tre anni di corsi ECM.

3. SOFT SKILLS: sono quelle qualità acquisite e innate che spaziano tra diversi ambiti, ma che fanno di un docente una persona completa ed empatica verso gli studenti; qui di seguito viene specificato come possono essere sviluppate le competenze stesse.

4. COMPETENZE: metodologiche, tecniche, relazionali e organizzative

Metodologiche
• Proporre materiale didattico (presentazioni power point,schede di verifica e valutazione con specifiche check-list) aggiornato alle ultive EBP
• Stabilire obiettivi formativi, creare un piano di formazione con una scaletta da perseguire;
• Contestualizzare gli apprendimenti teorici alla realtà operativa
• Governare il processo e rinforza le relazioni tra contenuti del percorso, garantendo la continuità nelle fasi di apprendimento
Tecniche
• Verificare e monitorare costantemente la regolazione del processo
• Conoscere e utilizzare piattaforme informatiche, sistemi operativi attuali
Relazionali
• Favorire momenti di interazione in aula tra gli studenti con attività interattive
• Saper moderare le discussioni
• Interfacciarsi con esperti
• Raccogliere proposte, criticità in modo da modificare/aggiustare anche il percorso in corso d’opera
• Fornire feedback ai discenti e ai referenti della formazione
• Aver predisposizione personale e trasmettere passione.
Organizzative
• Partecipa con il referente del progetto alla definizioni dei tempi e delle fasi
• Capacità di coordinare gruppi attraverso una leadership flessibile
• Predisposizioni di setting di apprendimento adeguati (es.giusta disposizione delle sedute)

Tutte queste belle parole però coincidono con le diverse realtà delle università italiane?

Confrontandosi coi vari colleghi proveniente da Regioni e Province differenti italiane, si scopre come l’insegnamento ha avuto pesi e misure diverse, con insegnamenti previsti in una regione ma non nell’altra e allora ci si chiede…. ma questi gap chi è chi li colma, chi si fa carico della formazione che manca individualmente?

Da li si capisce che tutto ciò che manca viene costruito dall’esperienza o dalla fortuna soprattutto se vinci un concorso in una realtà stimolante in cui colleghi ti trasmettono tutta la saggezza/competenza accumulata negli anni di lavoro.

Inoltre, i docenti che cambiano ogni anno che meccanismi innescano nello studente?

Per la stessa materia (es. area medica) si rischia di aver 3 docenti diversi in 3 anni e lo studente si ritrova ad aver seguito le lezioni di un docente l’anno prima e dopo un anno di dover ripetere l’esame ma ritrovarsi a rapportarsi con un altro soggetto, con modi differenti di relazionarsi e anche a volte con contenuti diversi di insegnamento, di conseguenza facendo l’ulteriore fatica di sovrapporre il materiale e ricercare cosa dover integrare tra gli argomenti affrontati.

Ci chiediamo, non sarebbe più corretto integrare nei criteri del bando almeno un impegno di 3 anni di continuità di insegnamento, come i presupposti che si utilizzano per i bandi di mobilità interna nelle unità operative proprio per dare continuità al discente, meno divario di insegnamento e dando a sua volta la possibilità allo stesso docente (che potrebbe essere solo al suo primo anno) di “farsi le ossa” e migliorarsi, come la maestra ci diceva da piccoli “Non si nasce imparati” questo motto vale sia per gli studenti che neo-docenti.

Altra questione non di poco conto è la preparazione del materiale per la docenza, tutto lavoro fatto al proprio domicilio non retribuito da nessuno, come la disponibilità a seguire il discente es. per la stesura della tesi o l’esecuzione degli esami (dato che vengono pagate solo le ore effettive di docenza) come se noi infermieri fossimo sempre dei “missionari” che prestano la propria opera in modo volontario e gratuito.

Bisogna ricordare che, la maggior parte degli infermieri che svolgono docenza lavorano allo stesso momento nelle unità operative perciò, ciò che spinge a perseguire questa strada è la sola e unica voglia di mettersi in gioco e apportare un qualcosa in più alla nostra professione; tutti professori docenti d’infermieristica in Italia sono a titolo gratuito, quanto dovremmo ancora aspettare per trasformarci in professori ordinari???

Ovvero che svolgono questa professione in modo esclusivo, come fa un qualsiasi professore di altre branche.

Bisogna chiedersi se con tutti questi presupposti, ne vale veramente la pena investire così tanto sè stessi per una valorizzazione monetaria di meno di uno stipendio mensile di un operaio e per una dicitura curriculare su un foglio di carta, ma come molte persone pensano è più importante la GLORIA che altro.

 

Foto di Pexels da Pixabay

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