Sentenza cambio divisa perso il ricorso, la motivazione cancellerà i futuri ricorsi?

La dinamica che si rileva dalla sentenza è quella tipica, il dipendente fa ricorso contro la propria azienda per vedere riconosciuto il tempo del cambio divisa, in questo caso contro l'ASP Cosenza, e vince.

Il dipendente chiede 9.000 euro e il tribunale ne riconosce 4.000. Una prima sentenza a favore del lavoratore, ma l'ASP Cosenza fa ricorso fino ad arrivare alla suprema corte di Cassazione. La sentenza è stata pubblicata nel 2024 e ha una conclusione che sembra formalmente corretta, vediamo i passaggi.

L'infermiere chiede un rimborso per un'indennità di vestizione maturata da giugno 2009 a settembre 2019 pari ad euro 9.528,52. Quindi il Tribunale del lavoro ha accolto la sua domanda nei limiti della prescrizione quinquennale, e gli ha liquidato in euro 4.491,53 cioè la differenza retributiva spettante.

L'ASP Cosenza fa ricorso e si arriva alla conclusione della sentenza di cassazione che ribalta il verdetto iniziale, come se il primo giudice fosse stato superficiale.

Le motivazioni sono dettagliate e in alcuni passaggi coerenti verso una realtà impiegatizia dove timbrare il cartellino è un qualcosa di rigoroso e sempre rispettato al minuto, ma la realtà quotidiana degli infermieri è fantasiosa e articolata.

Il punto 3 è una sintesi chiara e determinante. Vediamo i punti della sentenza che ha rigettato la decisione iniziale. Prima però devi ricordare due cose, la prima è che il giudice del lavoro fa una sentenza che vale solo per il lavoratore che fa ricorso e la seconda è che la sentenza della cassazione non fa giurisprudenza.

La sentenza riporta:

1.1. Il motivo non è fondato

AI riguardo, questo Collegio ribadisce che le operazioni di vestizione e svestizione del personale sanitario rientrano nell'orario di Iavoro se il tipo di indumenti da indossare è imposto da superiori esigenze di sicurezza e igiene attinenti alla gestione del servizio prestato e aII'incoIumità del personale addetto, sicché - anche nel silenzio della contrattazione collettiva - il tempo impiegato per tali operazioni dà diritto a retribuzione (Cass., Sez. L, n. 18612 deII’8 luglio 2024).
Si sottolinea, poi, che il giudice di appello, oltre a rilevare che la disposizione contrattuale impone al datore l'obbligo di fare in modo che nell'orario di lavoro retribuito sia ricompreso anche il tempo necessario per quelle operazioni è limitato ad affermare che questo tempo deve risultare dalle timbrature dei cartellini del personale (a). Tale ragionamento è corretto solo che si consideri il contenuto testuale dell'art. 27 del CCNL 2016-2018 nella parte che qui rileva:
«12. Nelle unità operative che garantiscono la continuità assistenziale sulle 24 ore, ove sia necessario un passaggio di consegne, agli operatori sanitari sono riconosciuti fino ad un massimo di 15 minuti complessivi tra vestizione, svestizione e passagg i di consegne, purché risultanti dalle timbrature °ne 18 02 2025 fatti salvi gli accordi di miglior favore in essere. 13. Sono definibili dalle Aziende ed Enti le regolamentazioni di dettaglio attuative delle disposizioni contenute nel presente articolo».
Il tempo di vestizione, dunque, deve risultare dalla timbratura essendo definibili dalle Aziende e dagli Enti solo le regolamentazioni di dettaglio (b).
La Corte territoriale ha evidenziato che il differenziale retributivo riconosciuto dal Tribunale in effetti valeva a ricompensare il tempo eccedente l'orario di Iavoro ordinario (come risultante dalla timbratura): ossia Io straordinario, mentre non era stata neppure allegata la circostanza che il ricorrente avesse eseguito le quotidiane operazioni di vestizione e svestizione della divisa fuori daII'orario di Iavoro risultante dalle timbrature e pertanto la stessa non poteva considerarsi pacifica(c).
Si tratta di una verifica che preclude l'accoglimento della domanda della dipendente, in quanto, per costante giurisprudenza, in caso di richiesta di pagamento della c.d. indennità di divisa, occorre stabilire se esistesse l'obbligo - nascente da disposizione del datore di Iavoro
- di indossare gli indumenti di Iavoro fin daII'orario di inizio del turno, oppure, fosse consentito ai singoli di indossarli in un momento successivo all'inizio della prestazione (Cass., SU, n. 11828 del 2013, pagina 7 della motivazione, non massimata).
È stato ritenuto, infatti, che l'attività consistente neII'indossare e dismettere la divisa aziendale rientra nella categoria del tempo di Iavoro retribuibile nel caso in cui si svolga in locali aziendali prefissati, ed in tempi delimitati non solo - ad esempio - dal passaggio in successivi tornelli azionabili con il badge (posti all'ingresso dello stabilimento e all'ingresso del reparto), ma anche dal limite stabilito dalla parte aziendale prima dell'inizio del turno, secondo obblighi e divieti sanzionati disciplinarmente, stabiliti dal datore di Iavoro e riferibili all'interesse aziendale, senza alcuno spazio di discrezionalità per i dipendenti (in motivazione, ex plurimis, Cass., Sez. L, n. 7397 del 13 aprile 2015; Cass., Sez. L, n. 7396 del 13 aprile 2015).
In particolare, si è evidenziato che il lavoratore avrebbe diritto alla retribuzione per il cambio d'abito soltanto qualora dimostri che la vestizione e la svestizione avvenivano prima e dopo l'orario di Iavoro ordinario, di tal che al tempo necessario possa essere riconosciuta un'autonoma retribuzione (d) (Cass., Sez. L, n. 11049 del 10 giugno 2020).
Nella specie, la corte territoriale ha pure precisato che la P.A. controricorrente aveva espressamente disconosciuto che il ricorrente avesse svolto l'attività in questione al di fuori dell'orario lavorativo ordinario e che, comunque, la prova testimoniale richiesta non aveva ad oggetto la dimostrazione “che il ricorrente sia stato costretto a indossare la divisa prima di timbrare in entrata e a svestirla solo dopo aver timbrato in uscita”, con la conseguenza che non era provato che “siffatte operazioni propedeutiche e strumentali alla prestazione lavorativa siano state eseguite fuori daII'orario di Iavoro che è retribuito in quanto registrato dalle apposite timbrature”.

2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta l'omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, atteso che la corte territoriale non avrebbe considerato l'inesistenza di un obbligo di timbratura ai fini retributivi del tempo aggiuntivo rispetto al turno di servizio per il cambio divisa e l'inconfigurabilità del tempo divisa aggiuntivo rispetto al turno di servizio come Iavoro di tipo straordinario.

2.1. Il motivo è inammissibile

Atteso che non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata, come individuata esaminando il primo motivo.
Peraltro, le circostanze indicate dal ricorrente non rappresentano dei fatti, ma delle questioni di diritto, non prospettabili in cassazione ai sensi dell'art. 360, n. 5, c.p.c.

3. Il ricorso è rigettato in applicazione del seguente principio di diritto:

“In tema di pubblico impiego contrattualizzato, l'infermiere che, deducendo di avere reso una prestazione lavorativa eccedente l'orario ordinario di Iavoro perché tenuto a indossare e dismettere la divisa rispettivamente prima di prendere servizio e dopo la fine del turno, chieda, per tale ragione, il pagamento di una somma aggiuntiva rispetto alla retribuzione spettante è tenuto a dimostrare di avere effettuato le operazioni di vestizione e svestizione in questione prima e dopo le timbrature effettuate in entrata e in uscita”.

La conclusione del Giudice nei 4 punti sopra è frutto di un'incomprensione su di un sistema volutamente approssimativo di gestione della timbratura degli infermieri che io penso sia vigente in tutte le aziende ospedaliere. Infatti il giudice non riesce a descrivere la realtà quotidiana dell'infermiere che dovrebbe timbrare per 36 ore, invece spesso fa 36 ore in reparto poi si reca nello spogliatoio e timbra 15-20 minuti dopo facendo di fatto più ore, ma questo non si evince dalle motivazioni, infatti in alcuni punti si evidenzia che:

(a) in questo punto il giudice afferma che l'infermiere avrebbe dovuto timbrare entro le ore del proprio turno, subito afferma che quel tempo deve risultare dalle timbrature, l'osservazione non ha senso per molti contesti perchè si timbra in un punto, ci si cambia in un altro e si lavora in un altro ancora spesso distanti. Generalmente molti infermieri usano il proprio tempo per fare gli spostamenti e il cambio divisa e datore di lavoro si guarda bene dal pianificare questi aspetti.

(b) il tempo di vestizione deve risultare dalla timbratura, nelle realtà molto estese, questo richiederebbe un passaggio aggiuntivo davanti al marcatempo e diventerebbe un peregrinaggio assurdo.

(c) (d) in questi passaggi il giudice ribadisce la mancanza di prove e di chiarezza mancano le prove che sia avvenuta la condizione necessaria alla retribuzione.

Il giudice è chiaro manca la prova perchè in fondo per il giudice dal momento che l'infermiere timbra è in servizio e quindi dovrebbe essere già retribuito, quello che il giudicenon ha compreso è che in un certo senso c'è una "franchigia" sull'orario che il datore di lavoro si è autodeterminata e potrebbe capitare che se timbri 10-15 minuti prima o dopo al datore di lavoro non interessa.

Nel tempo le 36 ore settimanali che comprendevano anche i cambi divisa sono diventate 36 ore di reparto. Questo aspetto non è stato compreso dal giudice e potrebbe non essere stato documentato bene, teniamo presente che il giudice della cassazione controlla solo se la sentenza è stata coerente e logica con quelle che sono le prove  e i fatti che gli sono stati documentati.

Le stesse timbrature di 10 anni, quindi, possono non essere sufficenti a dimostrare che il cambio divisa sia da retribuire.

Come dimostrare che l'infermiere era in reparto?

I ricorsi potrebbero iniziare a portare come elemento di prova oltre alle timbrature anche i piani di attività del reparto. L'idea potrebbe essere che se i piani di attività in reparto prevedono 36 ore allora l'infermiere non ha modo di timbrare in orario e di conseguenza l'eccedenza di timbratura dipende dal cambio divisa.

Il problema è un piano delle attività autorizzato dalla direzione sarebbe un elemento che porta la direzione aziendale a non poter negare di essere consapevole di quanto accade.

Invece, se il piano delle attività fosse una semplice mail inviata dal coordinatore potrebbe anche esserci la direzione che si rifa sulla coordinatrice stessa.

Per concludere

Questa sentenza non fa giurisprudenza e riguarda solo il collega, ma ci sono due elementi determinanti che ritengo possano spazzare via i ricorsi futuri, e sono:

  • Il primo è che dal 2019 al 2024, sono anni di ansie in cui non sai se puoi spendere i soldi o se te li richiedono indietro.
  • Il secondo è che trovare le prove e i documenti delle timbrature e dei piani di attività di tutti i 10 anni precedenti diventa veramente impegnativo.

Scarica il file della sentenza (riservato agli iscritti)

2024 Cambio divisa ASP Cosenza

 

Foto di Photo By: Kaboompics.com

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