Solo in tempi recenti si avverte l’esigenza per l’infermiere, di confrontare il ruolo acquisito ed a lungo agognato di responsabilità ed autonomia, con la nuova veste attribuitagli dalla Legge. Se guardiamo bene e ci avviciniamo in modo adeguato, sembrano proprio coincidere.
Una coincidenza che nel suo divenire è stata da subito genitrice di malcontenti, movimenti mentali ed intestini che repentini si dovrebbero dissolvere in una bolla d'aria, non portando da nessuna parte, e che anzi rischiano di confondere la nostra attuale personalità che ha smesso di arrampicarsi per inerzia sulla divisa di altri.
Di sicuro, qualcuno tra noi, non ha ancora avuto modo di entrare in tale ottica, per altri è puro futurismo e infantile fantasia.
Bensì sorvolando oltre sentimenti immobili e deleteri, si reputa vitale sondare se ciò porti ad un aggravio di peso riguardo a coscienza e conoscenza implicito nella professione intellettuale che andiamo ad esprimere con forza.
Ora (e da tempo) siamo nuove “entità giuridiche, usando un eufemismo al contrario, in quanto più che attenuare vorrei prepotentemente gridarlo, e aprire (ma umilmente) gli organi di senso di molti colleghi, e mi fermo per non entrare in contrasto con materie che adoro sfiorare e sorbirne gli opportuni fondamenti, come la giurisprudenza. Non ne sarei degno.
Ma la possibità di essere in pochi ad interrogarci allo specchio è alta; l'eventualità di non sapere quali domande farci è tremedamente aberrante.
Il cadenzato passaggio ad intervalli decennali, sta evidenziando qualcosa che inavvertitamente sarebbe successo in termini di colpa sanitaria e nello specifico di quella infermieristica: la posizione nuova ed onerosa, di protagonismo indiscusso al fianco della figura medica e in equipe, fanno convergere su di noi aspettative avanzate di sicurezza e di protezione del bene salute che fino a poco tempo addietro erano impensabili.
Figura emblematica, quella del medico, richiamante di già, anche in astrazione. concetti inseparabili di “implicazione” si positiva che negativa della fattibilità olistica del concetto di cura. Al medico infatti, veniva e viene di consueto riconosciuta una caratteristica chiave di onniscienza nella guarigione dalla malattia, tuttavia facendosi carico e pagando in prima persona per gli errori e le falle clinico-diagnostico-terapeutiche ed assistenziali in toto.
L'infermiere rimaneva relegato e immobile, ai margini del contesto di cura, la cui operosità risultava ancora non rivoluzionata ed inesplorata in termini di legge, non fosse altro per un prescrittivo e rigido Mansionario.
Quando ancora di assistenziale avevamo ben poco, solo una smunta base, dalla quale non si innalzava nessuna costruzione, e l'atto assistenziale (muovendo contro i sofisti e una nutrita schiera di puristi, che mi tradurrà al rogo) si esplicava esclusivamente in lavaggi e svuotamenti.
Per di più sarò bacchettato per l'utilizzo verbale al passato, in quanto sussistono fiorenti attività di demansionamento sia passivo che attivo ancora oggi, per non parlare dell'auto-demansionamento più grave (il mentale da cui deriva il demansiona-mente). E tutt'oggi, si muovono perenni mani e braccia che non fanno altro che fertilizzare fino alla crescita e fioritura di questo arbitrio.
Il cambiamento ci ha resi in un crescendo, interpreti indispensabili dei trattamenti, delle scelte di intervento, in autonomia, attuando la pianificazione del personale operato, in base ad una valutazione ed esplicitazione di diagnosi infermieristica, incrementando il vincolo di responsabilità e autonomia che espressamente ne è derivato.
Tale rinnovamento non del tutto silente (per chi replica rinnegandolo) è in fermento tutt'ora, benchè tre strade sembrano viaggiare parallele, ignorandosi: in una l'infermiere è consapevole di questo sviluppo, e sentendosi partecipe, conforma le proprie performance ad un livello adeguato di consapevolezza;
nell'altra vi cammina l'infermiere che pur prendendo atto degli accadimenti che lo circondano, è sicuro che svolgendo il suo tranquillo lavoro come ha fatto da anni, nulla lo potrebbe intaccare, degradando il tutto ad una questione di “immunità coscienziosa”, come al bar , “Sto bene così, grazie!”; nell'ultima non vorrei trovare nessun collega, che mi obblighi ad esprimermi, ma di certo non lo reputo adatto ad occuparsi di salute.
Credo che la seconda via, sia una carreggiata tortuosa, in quanto porterà prima o poi verso un'interruzione per lavori, senza mai riaprire.
Ho paura che la terza via trovando porte blindate e alti muri insormontabili, apra un accesso alla seconda, sdoganando un tanto temuto “Avanti c'è posto!”.
Una bipartizione che non allevia il peso
Nella mente di ognuno facilmente viene a rappresentarsi l'elemento simbolico della giustizia.
Univocamente la proverbiale bilancia in fatture diversamente allegoriche, ha sempre rappresentato il dispositivo con i due piatti fermi allo stesso livello, equiparati a giustificare l'uguaglianza di giudizio, di diritti e trattamenti verso un'espressione massima del senso di imparzialità.
Gli arrivi annunciati, e a forza sopraggiunti sgomitando, della responsabilità e autonomia dell'infermiere, alla ribalta del panorama sanitario (essendo terminata da tempo l’era del bronzo della subordinazione), hanno ampliato senza dubbio il significato di colpa professionale sanitaria, con aspetti ancora non del tutto vagliati dal giudicante, viste le innumerevoli nuove forme di applicazione e analisi su atti e tipologie assistenziali non proprio predominanti per la figura medica.
Inoltre è singolare lo sviluppo, in un arco di tempo decennale, della nozione di responsabilità sanitaria, ora coinvolgente tutti coloro che esprimono la propria professionalità al servizio della salute dell'assistito, in un moderno concetto di assistenza e presa in carico vagliata alla luce della multi professionalità: medico, infermiere, ostetrica, tecnico di radiologia, tecnico di laboratorio, fisioterapista, ecc..
Solo estrinsecando una capacità diversificata di saperi scientemente architettati e modulati in base alle necessità, si può ottimizzare una materia esclusiva e già di per sé circondata da innumerevoli variabili, qual è la cura della salute. In particolare, di preminente e imprescindibile simbiosi sono da considerarsi la figura medica ed infermieristica rispetto al confronto con altri operatori.
A maggior ragione tale sodalizio si rafforza, pur nella sua forma di conflitto sulla linea di confine, e si esprime fortemente nell’ambito della colpa sanitaria nella quale apparentemente vede entrambi dividersi la posizione sul piatto della famosa bilancia della giustizia.
Verrebbe quindi, da pensare, che con l’avvento di un “compagno di colpa” (l’infermiere), il medico abbia potuto credere in una eventuale tenuità dei fatti/reati attribuitigli, cioè alla possibilità di una bipartizione della colpa professionale instaurata, inoltre in un crescente timore che azioni imputabili all’infermiere (che si lanciava a capofitto spezzando proverbiali catene) potessero in qualche modo nuocergli, avendo in sostanza perso quel potere decisionale che aveva da sempre contraddistinto il particolare rapporto con il vicino Operatore.
Ma il problema non sussiste.
La preoccupazione deve essere solo nostra: siamo noi infermieri ad affacciarci per la prima volta sullo scenario presentato; siamo noi i novizi, che andremo in totale solitudine ad occupare l’altro piatto della bilancia, ancora inconsapevoli del peso probatorio delle nostre azioni. In conclusione, occorre sempre tenere vivo un aspetto significativo della “simbiosi professionale” tra medico ed infermiere.
Numerose sentenze infatti, stanno rinsaldando questa speciale prerogativa dei due protagonisti più vicini al paziente. Dall’analisi si denota come l’infermiere viene condannato per una condotta colposa che non si addice al nuovo ruolo acquisito, non più di semplice esecutore passivo delle prescrizioni (Cass. IV sez. pen., 25/10/2000, n.1878) ma che riveste eguali obblighi e posizione di garanzia identica a quella del medico. Ed a significare il rapporto di interconnessione ancor più cementato, in un filone giurisprudenziale che si consolida in crescendo, emerge il principio di responsabilità condivisa in equipe che si fa strada e abbraccia entrambi gli Operatori.
Un confine che amalgama quasi le competenze del primo (prescrittore) e del secondo (somministratore) riguardo alla farmacologia ( Cass. III sez.civ., 12/04/ 2016, n. 7106): In caso di prescrizione incompleta, errata o insufficiente è dovere dell’infermiere intervenire in modo interlocutorio e, se del caso, integrare la prescrizione medica.
Un confine che anche se ben delineato, è in continua dilatazione.
A chi conviene sorpassarlo?
A chi tirare dentro l’altro?
Seguire l’evoluzione giudiziaria in continuo movimento aiuterà di certo a comprendere questo nuovo scenario.
Ne siamo protagonisti, ma lo ignoriamo!
Infermiere Legale Forense
Ufficio Stampa APSILEF
Giovanni Trianni