I passi fanno rumore, emettono un suono che urla “sono al mondo”

Le luci a led strette e lunghe che accompagnano nella percorrenza del corridoio appaiono in questo periodo popolate da insetti che le girano intorno.

Al termine di questo percorso illuminato c’è la porta metallica del reparto con accanto, posta sulla destra, l’insegna, scritta nera su sfondo bianco contornata da bordi rossi, riportante la dicitura “Medicina”.

Entrati in reparto si percepisce una temperatura diversa rispetto al corridoio, è estate, gli impianti di climatizzazione cercano di fare il loro lavoro per mantenere le caratteristiche di quello che è il microclima ospedaliero.

In una delle prime stanze c’è un uomo anziano, il suo ruolo è attualmente quello di paziente.

È entrato due giorni prima a causa di un problema respiratorio che si è sovrapposto ad un deterioramento cognitivo già presente.

In questo momento è lì a letto, il sudore lo lega alle lenzuola da una parte e alla plastica del materasso antidecubito dall’altra. È solo, i familiari non si sono visti, è a letto, sono due giorni che non cammina.

All’ingresso viene riferito telefonicamente dai familiari che il paziente a casa sua, nel suo ambiente, camminasse con ausili o meno ma questo non è il suo ambiente.

È solo, in un’anonima stanza di ospedale, una patologia in fase acuta, dispositivi vari, circondato dal personale con un viso tutt’altro che noto e per lo più coperto dalla mascherina, si agita, non collabora, assume farmaci, sta perdendo le autonomie.

Il problema dell'immobilizzazione

L'ospedalizzazione rappresenta un significativo fattore di rischio per il peggioramento delle condizioni generali dell'anziano.

La perdita di autonomia nei pazienti anziani ricoverati, insieme all'immobilizzazione, è stata definita come "disabilità acquisita in ospedale" e colpisce il 65% di questa classe di pazienti.

Meno della metà di loro riacquisterà una mobilitazione indipendente.

Tra gli effetti negativi ci sono:

  • cadute,
  • aumento della percentuale di ricoveri nelle case di cura,
  • ricoveri ospedalieri più lunghi,
  • aumento della mortalità e della morbidità.

Nonostante questi fatti, i pazienti anziani rimangono a letto per l'83-95% della loro degenza ospedaliera; raramente camminano o sono mobilizzati.

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Solo a livello internazionale questo tema è stato analizzato.

Tra dicembre 2018 e maggio 2019 è stato realizzato uno studio prospettico analitico e descrittivo presso il reparto di Medicina Clinica dell'AUSL di Reggio Emilia al fine di analizzare la mobilizzazione attiva nei pazienti ricoverati.

Sono stati arruolati nello studio 295 pazienti, 9 dei quali sono stati poi esclusi per impossibilità di mobilizzazione. Il 66,4% di questi pazienti è stato mobilizzato la mattina durante i turni di igiene. Secondo gli infermieri, sono apparsi in uno stato stabile, vigili e orientati (88,1%) e hanno utilizzato una varietà di ausili (da 1 a 3) (57,3%). La frequenza delle mobilizzazioni è stata: 44,4% una volta al giorno, 31,2% due volte, 24,4% tre volte o più.

Questo studio ha evidenziato che la mobilizzazione è strettamente correlata alla prima assistenza, spesso affidandosi ad operatori socio-sanitari ed è applicata principalmente a pazienti orientati che necessitano di un solo assistente.

Mobilizzare la persona, incentivare la sua attività fisica è uno dei modelli funzionali di Gordon, necessario a migliorare la qualità della vita e alla realizzazione del potenziale umano.

Il movimento previene l’atrofia muscolare e le lesioni da pressione, migliora la performance cardiaca, riduce gli edemi, migliora il benessere psicologico del paziente.

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La mobilizzazione è un punto chiave anche all’interno dell’Indice di Barthel, una scala usata dagli infermieri per valutare il grado di autonomia degli assistiti.

La valutazione si basa sulla capacità di compiere attività di vita quotidiana (ADL).

I punti su cui si plasma la scala di Barthel sono:

  • Alimentazione Vestirsi
  • Igiene personale
  • Fare il bagno
  • Continenza intestinale
  • Continenza urinaria
  • Uso dei servizi igienici    
  • Trasferimenti letto/sedia
  • Deambulazione      
  • Salire/scendere le scale

Si palesa subito davanti a noi, dando una rapida occhiata a questi punti, come otto su dieci siano legati alla mobilizzazione della persona assistita. 

In letteratura di studi sull’argomento ce ne sono pochi e riguardano realtà specifiche, quindi, non permettono di creare un pensiero generale applicabile nel quotidiano al fine di migliorarsi e soprattutto per far mantenere alla persona assistita la propria autonomia al termine della degenza.

Cercando articoli a riguardo mi sono imbattuto in quelle che vengono chiamate unità di degenza breve.

Queste unità si concentrano sugli adulti con malattie o condizioni all'interno dello spettro della medicina interna, ad esempio:

Le persone con malattie di medicina interna rappresentano la maggior parte dell'assistenza sanitaria fornita negli ospedali.

In tutto il mondo, le malattie di medicina interna come il diabete e le malattie cardiovascolari sono la principale causa di disabilità e morte.

La prevalenza delle malattie croniche è in rapido aumento; attualmente, un adulto su due è affetto da almeno una malattia cronica. Ciò si diffonde nel sistema di assistenza acuta perché un numero crescente di persone necessita di ricovero ospedaliero acuto a causa del peggioramento dei sintomi di una malattia cronica.

Inoltre, le malattie infettive come la polmonite o le infezioni del tratto urinario sono ancora motivi comuni per l'ospedalizzazione acuta. Le malattie infettive continuano ad essere associate a morbilità e mortalità sostanziali.

Nonostante i progressi teorici nel campo dei servizi igienico-sanitari e dell'assistenza sanitaria, il tasso annuale di ospedalizzazione per malattie infettive è aumentato negli ultimi decenni. 

Il trattamento dei pazienti con malattie e condizioni di medicina interna rappresenta la stragrande maggioranza delle spese sanitarie e si prevede che i costi aumenteranno in modo significativo, soprattutto perché la popolazione mondiale sta invecchiando drammaticamente.anziano fine vita

Su questo panorama vanno a inserirsi le unità di degenza breve, unità ospedaliere che forniscono assistenza a breve termine a pazienti selezionati.

I loro servizi sono spesso definiti dal tipo di paziente, dalla funzione dell'unità e da un periodo di tempo.

Gli studi hanno indicato che le unità di degenza breve possono ridurre il numero di persone ricoverate in ospedale, la durata del tempo che trascorrono in ospedale, il numero di persone che devono tornare in ospedale (riammissione) e i costi, senza perdere la qualità dell'assistenza.

Un'unità di degenza breve è un reparto ibrido che da un lato può scaricare i pazienti stabili dal pronto soccorso o dai reparti tradizionali per ulteriori indagini e stratificazione del rischio, dall'altro può ospitare pazienti a bassa gravità, che necessitano di monitoraggio a breve termine, osservazione, diagnostica focalizzata o interventi terapeutici.

Rispetto alle cure abituali in un normale reparto di medicina interna, molte unità di degenza breve applicano componenti che potenzialmente semplificano la cura del paziente e accelerano il processo diagnostico o i tempi di riabilitazione.

Esempi di elementi di tale assistenza rapida includono:

  • la pianificazione delle dimissioni anticipate,
  • accesso immediato a test di laboratorio,
  • indagini, imaging o osservazioni standardizzate,
  • protocolli diagnostici o di intervento.

Le unità di degenza breve possono rappresentare un servizio più efficiente riducendo il tempo trascorso in ospedale per i pazienti.

Ciò può portare a una minore esposizione a errori terapeutici e condizioni acquisite in ospedale, come eventi avversi o perdita di capacità funzionale a causa dell'immobilizzazione.

Tuttavia, dallo studio non è emerso con chiarezza se il ricovero in unità di degenza breve rispetto alle cure abituali influisca sulla mortalità, sugli eventi avversi gravi o sulla riammissione ospedaliera.

Non c'erano informazioni sufficienti per confermare o confutare che il ricovero in unità di breve degenza avesse effetti rilevanti sulla qualità della vita, sulle attività della vita quotidiana, sugli eventi avversi non gravi e sui costi. 

Arrivati fin qui vi sarete accorti che questo articolo non dà risposte ma pone diverse domande, l’argomento è vasto ma la letteratura a riguardo molto scarna.

In corsia la mobilizzazione dei pazienti quotidianamente passa in secondo piano, è una priorità marginale, accessoria, trascurabile eppure… quanto è bello vedere un paziente che all’ingresso a stento si muove nel letto, camminare.

Vederlo mettersi in piedi e muoversi in autonomia per il reparto, si ha la sensazione di aver fatto un piccolo miracolo.

Bibliografia:

  • https://www.nurse24.it/infermiere/professione/marjory-gordon.html
  • Strøm C, Stefansson JS, Fabritius ML, Rasmussen LS, Schmidt TA, Jakobsen JC. Ricovero in unità di degenza breve per adulti con malattie e condizioni di medicina interna. Sistema di database Cochrane Rev. 2018 13 agosto; 8(8):CD012370. DOI: 10.1002/14651858.CD012370.pub2. PMID: 30102428; PMCID: PMC6513218.
  • Vezzani E, Mecugni D, Silba Cardoso J, Coriani S, Boccia Zoboli A, Riccò R, Cavuto S, Savoldi L, Amaducci G. Studio analitico descrittivo sulla mobilizzazione dei pazienti del Dipartimento Internistico dell'Azienda USL – IRCCS di Reggio Emilia (MOBINT). Prof Inferm. 2021 luglio-settembre; 74(2):95-104. Italiano. DOI: 10.7429/pi.2021.742095. PMID: 34418910.
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