Il monitoraggio emodinamico invasivo nelle unità di terapia intensiva

infermiera ambiente sterile

Il monitoraggio emodinamico invasivo in Terapia Intensiva nasce e si diffonde con il progressivo sviluppo  delle metodiche di incannulazione arteriosa e dei sistemi di monitoraggio, assumendo un aspetto fondamentale nel processo assistenziale al paziente in condizioni critiche.

Tale monitoraggio fornisce importanti criteri per la determinazione dell’efficienza cardiovascolare e conseguentemente permette di rilevare importanti dati finalizzati ad un adeguato programma diagnostico e un corretto approccio terapeutico.

Per effettuare un adeguato monitoraggio emodinamico invasivo si ricorre alla tecnica del cateterismo arterioso.

Questa procedura consiste nell’introdurre una cannula all’interno di un’arteria palpabile (più comunemente la radiale), permettendo la misurazione diretta della pressione sanguigna.

Successivamente, collegando il catetere arterioso ad un monitor per mezzo di un trasduttore di pressione, si ottiene il monitoraggio diretto continuo della pressione sanguigna arteriosa, sotto forma di ondulazioni arteriose continue dell’oscilloscopio e di valori pressori numerici su un indicatore digitale.

Tale tecnica, dunque, permette di individuare tempestivamente qualunque anomalia dei valori pressori, andando a intervenire rapidamente con una terapia specifica utile a contrastare queste variazioni e/o criticità emodinamiche.

Il monitoraggio emodinamico invasivo richiede apparecchiature sofisticate e specifiche competenze di gestione da parte dell’infermiere dell’unità operativa di Terapia Intensiva che, in quanto professionista responsabile dell’assistenza clinica del paziente, deve quotidianamente mettere in atto una serie di azioni che mirino a porre la sicurezza e il benessere del paziente come priorità e obiettivo cardine nel processo di cura e di assistenza infermieristica.

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Indice

Capitolo 1: il monitoraggio emodinamico avanzato

1.1 Cos’è il monitoraggio emodinamico
1.2 Indicazioni e controindicazioni al monitoraggio emodinamico invasivo
1.3 Il catetere arterioso e sedi di accesso
1.4 Tecnica di incannulamento e di prelievo dall’accesso arterioso
1.5 Assistenza al paziente sottoposto a puntura arteriosa
1.5.1 Materiale necessario
1.5.2 Preparazione del paziente
1.5.3 Test di allen
1.5.4 Anestetizzare il sito di incannulamento
1.6 Introduzione del catetere arterioso
1.7 La corretta gestione dei cateteri intravascolari: linee guida per la prevenzione delle infezioni (cdc 2011)

Capitolo 2: il sistema di misurazione arterioso

2.1 Componenti del sistema di misurazione
2.2 montaggio della linea arteriosa
2.3 azzeramento del sistema di misurazione
2.4 La curva di pressione arteriosa
2.5 Accuratezza del sistema di monitoraggio: il test dell’onda quadra

Capitolo 3: conclusioni

Bibliografia


Capitolo 1: il monitoraggio emodinamico avanzato

1.1 Cos'è il monitoraggio emodinamico?

Per monitoraggio si intende la registrazione costante e continua dei parametri cardiocircolatori e di ossigenazione periferica del paziente attraverso l’impiego di attrezzature biomedicali complesse che richiedono un'adeguata formazione ed esperienza. Questi strumenti altamente tecnologici vengono definiti multiparametrici in quanto ci consentono di monitorizzare con un solo apparecchio uno o più parametri vitali contemporaneamente, generando un allarme qualora gli stessi, in condizioni fisiologiche, dovessero andare oltre i range impostati dalla propria unità operativa. 

Una componente cruciale nella gestione dei pazienti presenti in area critica è il monitoraggio emodinamico avanzato. Questo tipo di monitoraggio consiste in una rilevazione seriata e sistematica di alcuni parametri emodinamici che, opportunamente sviluppati, consentono un approfondito studio della funzione del cuore e dell'apparato circolatorio, finalizzato ad un adeguato programma diagnostico e terapeutico.

Facendo ciò si ha la possibilità di tracciare una "mappa" dello stato emodinamico del paziente in sala operatoria e in terapia intensiva, nonché la possibilità di monitorare in tempo reale eventuali cambiamenti o anomalie delle condizioni cardiovascolari e respiratorie dei pazienti, soprattutto in coloro che presentano segni e sintomi caratteristici di rilevanti patologie pregresse e che compaiono quando la situazione è già compromessa. 

Gli obiettivi cardine del monitoraggio emodinamico sono: 
  • La rilevazione continua e la sorveglianza attenta della pressione arteriosa;
  • Il controllo emodinamico invasivo in sala operatoria durante l’esecuzione di interventi chirurgici complessi, o in soggetti emodinamicamente instabili;
  • L’individuazione precoce di fenomeni avversi che indicano il deteriorarsi della funzione cardiocircolatoria (ad esempio la bassa gittata cardiaca);
  • La valutazione emodinamica delle forme d’onda al fine di determinare la gittata cardiaca;
  • Il controllo dell’efficacia e degli effetti collaterali di alcuni farmaci attivi sul sistema cardiovascolare (ammine, vasodilatatori) e, conseguentemente, la possibilità di modificare l’approccio terapeutico precedentemente impostato;
  • Fornire un accesso facilmente utilizzabile per controlli emogasanalitici nei soggetti con insufficienza respiratoria sottoposti a ventilazione artificiale.

Essenzialmente, il monitoraggio emodinamico invasivo è utile sia quando si è a conoscenza della patologia responsabile di un’emodinamica instabile, stati ipotensivi severi o potenziale instabilità improvvisa (ad esempio negli stati di shock o nei traumi maggiori), sia a scopo preventivo, dove il monitoraggio consente di preparare l’equipe medica al verificarsi di un processo fisiopatologico che può essere letale per il paziente (il caso tipico è il paziente perioperatorio, in cui il monitoraggio può essere utilizzato per evidenziare ipovolemia o bassa disponibilità di ossigeno precoce, consentendo l’inizio di una tempestiva terapia correttiva utile a salvaguardare la perfusione tissutale).

1.2 Indicazioni e controindicazioni al monitoraggio emodinamico invasivo

Il monitoraggio emodinamico invasivo viene utilizzato principalmente:
  1. In sala operatoria per il monitoraggio intraoperatorio durante complessi interventi cardiotoracici o a rischio di emorragia;
  2. Nel post-operatorio dei pazienti nei quali è presente il complesso di comorbilità;
  3. Nel monitoraggio del paziente critico in terapia con farmaci vasoattivi;
  4. Nel paziente che ha subito un’intossicazione da farmaci o da stupefacenti;
  5. Nelle strategie di gestione dei fluidi in pazienti con alterazioni idroelettrolitiche come setticemia e gravi ustioni;
  6. In pazienti politraumatizzati (ad esempio dopo un incidente stradale, domestico o sul lavoro);
  7. In pazienti con patologie a carico del sistema cardio-circolatorio quali: arresto cardiaco, scompenso cardiaco congestizio, edema polmonare, shock cardiogeno, gravi ischemie miocardiche, tamponamento cardiaco;
  8. In pazienti con patologie a carico del sistema neurologico (male epilettico, meningiti o che presentano GCS <10);
  9. In pazienti con patologie a carico del sistema respiratorio (insufficienza respiratoria, embolia polmonare);
  10. In pazienti con alterazioni a carico dell’apparato endocrino (chetoacidosi diabetica, shock ipoglicemico).

Il posizionamento di un catetere arterioso non dovrebbe compromettere la consegna di ossigeno ai tessuti periferici rispetto al suo punto d’inserimento. Tuttavia, esistono alcune controindicazioni assolute che vietano all’equipe medica l’istallazione di una linea arteriosa:

  1. Quando l'arteria non è palpabile né rilevabile con l'ecografia (mai provare a incannulare un sito solo perché ci si aspetta che ci sia l'arteria);
  2. Inadeguato flusso di sangue collaterale dalla circolazione dell'arteria ulnare;
  3. Presenza di infezioni nella sede d’inserimento o di ferite traumatiche all’arto o di ustioni estese;
  4. Arteria non adatta (trombizzata o inaccessibile) perché può inficiare il circolo collaterale, portando come conseguenza ipossia tissutale e necrosi;
  5. In pazienti aventi malattie vascolari periferiche severe, innesti arteriosi, coagulopatie e valvulopatie;
  6. Nei soggetti con sindrome di Raynaud, una patologia causata dal restringimento anomalo (vasospasmo) dei capillari e che comporta una riduzione del flusso sanguigno con conseguente cambio di colorito delle zone colpite (tra queste le dita delle mani).

1.3 Il catetere  arterioso e sedi di accesso

Il catetere arterioso è un dispositivo medico di materiale biocompatibile, in genere teflon o poliuretano (questi ultimi sono associati a minori complicanze infettive rispetto ai cateteri in polietilene o polivinile cloruro), che consente di accedere al sistema arterioso.

Il diametro interno è espresso in Gauge, ad esempio in arteria radiale si utilizza un catetere da 20–22 G pari a 0,812 – 0,644 millimetri di diametro.

La misura del catetere varia in funzione dell’età del paziente (adulto o bambino) e del sito di inserimento scelto. Il diametro più piccolo riduce i rischi di infezione, ma anche la frequenza naturale del sistema e aumenta il rischio di una sua occlusione.

Inoltre, è stato dimostrato che il diametro del catetere influenza le proprietà di smorzamento del sistema di misurazione cruenta della pressione: infatti i cateteri da 20 G sono meno influenzati dal fenomeno della risonanza rispetto a quelli da 18 G.

Il catetere arterioso può essere inserito in diverse arterie, la più comunemente utilizzata per il semplice monitoraggio della pressione arteriosa (PA) è l’arteria radiale. In alternativa, altre arterie disponibili per l’incannulamento arterioso sono: arteria femorale, ulnare, pedidia dorsale, brachiale, ascellare, tibiale posteriore e arteria temporale. 

Una volta inserito il catetere nella sede prescelta, questo verrà collegato ad un trasduttore che riporterà sul monitor il valore della pressione arteriosa (sistolica, diastolica e media) e il suo grafico, al fine di osservare l’andamento dell’onda pressoria.

Successivamente il catetere arterioso viene collegato ad una sacca di fisiologica allo 0.9 % o soluzione eparinata, la quale deve essere mantenuta ad una pressione di 300mmHg per contrastare la pressione arteriosa.

I lavaggi del sistema, specie quelli effettuati con siringhe di piccole dimensioni che sviluppano alte pressioni anche con piccoli volumi di liquido, possono, a seconda della sede del catetere, dare ardito a rischio di embolie cerebrali. Per questa ragione sono preferibili continui flussi di lavaggio di liquido anticoagulante tramite apposti apparecchi. 

Il circuito in questione in genere viene connesso al lume distale del catetere arterioso e permette non solo il monitoraggio costante della PA ma anche, l’esecuzione di emogasanalisi (EGA) e di altri esami ematochimici (eccetto la determinazione del profilo della coagulazione a causa dell’eparina utilizzata nel sistema di perfusione).

Secondo le linee guida CDC, 2011 il catetere arterioso dovrebbe rimanere in sede al massimo 10 giorni, mentre il trasduttore monouso deve essere cambiato ogni volta che si sostituisce il circuito e il catetere stesso. L’infermiere, responsabile della gestione dell’intero circuito, è tenuto a controllare periodicamente il sistema e a rispettarne l’asepsi, al fine di ridurre eventuali complicanze che possono mettere a repentaglio la sicurezza del paziente. 

Il sito di accesso per il posizionamento della linea arteriosa è scelto dal medico in base a:

  • grado di collaborazione del paziente;
  • presenza di traumi agli arti;
  • patologie che possono escludere una sede (es. pregresse occlusioni arteriose, alterazioni anatomiche ecc.).

Nell’adulto possono essere incannulate le seguenti arterie: radiale, pedidia, ascellare e femorale.

  1. A. radiale, la via preferita dalla maggior parte degli operatori. Possono essere usate cannule fino alla dimensione di 20 G. È indispensabile tenere presente che, in una discreta percentuale di individui, l’arteria ulnare, che assieme alla radiale vascolarizza la mano, non è sufficiente da sola a garantire un adeguato apporto di sangue alla mano stessa. Pertanto, prima di incannulare l’arteria radiale, è necessario accertarsi che l’arteria ulnare sia competente; in caso contrario, un’eventuale trombosi dell’arteria radiale, possibile complicanza dell’incannulamento, porterebbe ad un’ischemia della mano, ed eventuale necessaria amputazione. Allo scopo viene generalmente impiegato il test di Allen anche se è stato al tempo stesso criticato quanto ad affidabilità. Più sicuro è il test di Allen modificato, che utilizza il sistema Doppler per la determinazione del flusso ematico alla mano, durante occlusione alternativa delle arterie radiale e ulnare. Nei pazienti incoscienti può essere utilizzato il test di Barber, che consiste nel rendere esangue il polpo e l’avambraccio tramite benda di Esmarch. Una cuffia di pressione è posta sotto il gomito e gonfiata a valori maggiori della PA del paziente. Successivamente rimossa la benda, la mano apparirà livida. Ora viene compressa la radiale al polso e poi si sgonfierà il manicotto: se tornerà al suo normale colore, il test verrà considerato normale.
  2. A. pedidia (dorsale del piede), un’arteria di piccolo calibro e lontana dal cuore: pertanto i valori pressori sono poco attendibili. È palpabile in 8-9 soggetti su 10, ma ha un’incidenza di circolo collaterale che, aumentando con l’età, può giungere fino al 20%; nonostante ciò, il rischio della necrosi della cute dell’alluce appare estremamente basso. La sua caterizzazione è comunque sconsigliabile per valori di PA inferiori a 40 mmHg. 

L’arteria viene palpata sul dorso al 1° spazio intermetatarsale e la sua puntura è effettuata con il piede leggermente esteso. Il rischio di infezione risulta piuttosto basso. La durata di permanenza del catetere è sovrapponibile a quella dell’arteria radiale.

  1. A. ascellare e femorale, sono arterie di grosso diametro ed elevato flusso, e perciò scarsamente predisposte alla trombosi. L’incidenza di complicazioni a seguito dell’incannulamento di tali arterie si è dimostrata inferiore a quella delle altre vie, più comunemente utilizzate. Inoltre, è possibile inserire in esse un catetere di maggior diametro, ottenendo perciò, durante monitoraggio della pressione, una curva sfigmica migliore. 

1.4 Tecnica di incannulamento e di prelievo dall'accesso arterioso 

L’incannulamento di un’arteria può essere eseguito mediante:
  1. Il metodo percutaneo (o metodo di Seldinger), prevede l’uso di una guida – Seldinger, appunto – la quale facilita l’inserimento del catetere stesso, lungo tra i 6 e i 10 cm circa. Pertanto, una volta scelta la sede e incannulato il vaso, viene fatto avanzare, attraverso il lume, il filo guida dalla punta arrotondata. Una volta giunto a destinazione, viene retratto l’ago metallico e viene fissato il catetere con punti di sutura o, meglio ancora, con sistemi di fissaggio suturless alla cute.

Questa procedura, ideata nel 1953 dal radiologo svedese Sven Ivar Seldinger, oggigiorno è la più utilizzata perché consente di ottenere un accesso intravascolare sicuro e diretto, minimizzando l’insorgenza di complicazioni. Tuttavia, la complicanza più comune di questa procedura è rappresentata dal sanguinamento cutaneo nel punto di inserzione e l'infezione è sempre una conseguenza possibile e temibile. 

  1. Il metodo chirurgico (o tecnica diretta), invece, è utilizzato molto raramente e solo nei casi in cui non sia possibile l’accesso percutaneo. Questa procedura si avvale di un angiocatetere, ovvero catetere su ago. A differenza del catetere utilizzato nella tecnica Seldinger, il catetere in questione risulta essere più corto. 

Il metodo di inserimento diretto è essenzialmente lo stesso di quando si incannula una vena periferica: una volta individuata l’arteria, occorre dirigere l’ago metallico di cui è dotato il catetere in direzione della pulsazione, assicurandoci che la punta sia ben penetrata nel lume. Una volta visualizzato il reflusso ematico, far scorrere dolcemente il catetere sopra l'ago e nell'arteria.

Se il catetere incontra resistenza, estrarre lentamente l'ago seguito dal catetere, fermandosi immediatamente e provando a far avanzare di nuovo il catetere se il flusso sanguigno riprende. Se il catetere non può essere inserito, bisogna estrarlo. Con l’ausilio di alcune garze, verrà esercitata per 10 minuti una pressione esterna sulla zona, al fine di promuovere l’emostasi.

Il monitoraggio emodinamico invasivo tramite cannula arteriosa consente di rilevare, grazie ad un prelievo di sangue arterioso, importanti parametri ematologici quali: pressione parziale di ossigeno e di anidride carbonica, elettroliti, ematocrito, saturazione di ossigeno, PH sanguigno, livelli sanguigni di bicarbonato (HCO3), ecc... 

L’emogasanalisi, infatti, uno dei test di laboratorio più utilizzati nell’approccio al paziente critico poiché permette un’immediata valutazione dello stato ventilatorio e metabolico del soggetto. L’interpretazione accurata e tempestiva dei dati forniti del test rappresenta un fattore chiave per il successo del processo clinico decisionale.

Nella pratica clinica l’emogasanalisi viene frequentemente eseguita da infermieri che hanno acquisito una completa competenza della procedura e che sono in grado di gestire eventuali complicanze. Durante l’esecuzione del prelievo è importante rispettare le dovute precauzioni per proteggere l’operatore e l’ambiente. Il materiale necessario, utile alla raccolta di sangue arterioso da catetere a sistema aperto, comprende: 

  • Guanti puliti monouso;
  • Garze sterili;
  • Disinfettante: clorexidina 2%;
  • Siringa eparinata da 2,5 ml; 
  • Siringa sterile da 5ml (utilizzata per lo spurgo del liquido di lavaggio contenuto nello spazio morto prima della raccolta del campione di sangue);
  • Contenitore per rifiuti a rischio biologico.

Il sistema chiuso, a differenza di quello aperto, ha invece due porte distinte: una per lo spurgo e una per la raccolta del campione. Il materiale occorrente in questo caso è uguale al precedente, ma non è necessaria la siringa sterile da 5 ml usata per lo spurgo.

Per evitare la contaminazione del campione con la soluzione che mantiene pervio il sistema è raccomandato l’uso del sistema chiuso che riduce inoltre il rischio di batteriemia e minimizza gli sprechi di sangue.

Preparazione: 
    1. Preparare il materiale necessario;
    2. Spiegare il procedimento al paziente, se cosciente;
    3. Eseguire l’igiene delle mani e indossare i guanti monouso.
Per effettuare una buona raccolta di sangue arterioso occorre:
  • Disinfettare la via di accesso con garza sterile e clorexidina;
  • Connettere ad un rubinetto a 3 vie la siringa da 5 ml, aprire la via corrispondente e la via arteriosa, escludendo la via di lavaggio ed aspirare un campione da scartare in quanto contaminato dalla soluzione di lavaggio (circa 2-3 ml);
  • Chiudere la via in cui vi è la siringa e la via di lavaggio;
  • Rimuovere la siringa con lo scarto e smaltirla;
  • Connettere la siringa eparinata e riaprire la via corrispondente e la via arteriosa, escludendo quella del lavaggio;
  • Prelevare circa 1 ml di sangue;
  • Chiudere la via in cui vi è la siringa e rimuoverla;
  • Sigillare la siringa con l’apposito cappuccio per evitare che il campione entri in contatto con l’aria ambiente;
  • Inserire una nuova siringa da 5 ml sulla stessa via d’accesso ed aprire la linea di lavaggio escludendo quella arteriosa, ed aspirare, in modo da lavare la via ed evitare la formazione di coaguli di sangue che possono occludere il sistema;
  • Chiudere la linea di lavaggio, eliminare la siringa e sostituire il tappo sterile;
  • Con la via di lavaggio e la via arteriosa aperte effettuare il flush pulsatile per eliminare residui ematici presenti nel catetere;
  • Effettuare azzeramento per avere dati più attendibili e assicurarsi della comparsa delle onde arteriose sul monitor;
  • Analizzare immediatamente il campione raccolto;
  • Registrare in cartella infermieristica: orario del prelievo, condizioni del catetere arterioso al momento della raccolta del campione e segnalazione delle variazioni maggiori riscontrate in seguito all’analisi del campione.

1.5 Assistenza al paziente sottoposto a puntura arteriosa 

La procedura richiede il rispetto assoluto delle norme di asepsi e per questo prevede la presenza di un campo sterile e l’impiego di adeguate barriere di protezione da parte dell’operatore. 

L’incannulamento arterioso è effettuato dal medico. L’infermiere, invece, coadiuva con questi durante l’intera procedura, prepara il materiale occorrente e presta assistenza al paziente.

1.5.1 Materiale necessario 

Il materiale occorrente da preparare per l’incannulazione arteriosa comprende:
  1. Strumento di incannulamento (p. es., catetere integrato e dispositivo per filo guida; ago separato, filo guida e catetere; o angiocatetere [catetere-su-ago], da 20 o 22 gauge);
  2. Dispositivi di protezione individuale: guanti e camice sterile per l’operatore; mascherine e copricapo per l’operatore e per il personale di assistenza;
  3. Tavola per braccia, rotolo di garza e nastro adesivo (per l’incannulazione dell’arteria radiale);
  4. Telino sterile per l’allestimento di un campo sterile;
  5. Garze sterili 10x10 e 5x5;
  6. Soluzione antisettica per uso topico: iodopovidone;
  7. Siringa da 3 ml con ago sottile (25 G), per anestesia locale;
  8. Anestetico locale in fiala monodose (lidocaina all’ 1 o al 2%);
  9. Siringhe da 3 e da 5 ml;
  10. Ago e filo di sutura non assorbibile (p. es., 3-0 o 4-0 di nylon o seta);
  11. Cerotto con clorexidina, medicazione occlusiva trasparente;
  12. Sistema perfusionale montato e controllato nel funzionamento: misuratore di pressione; sacca EV con soluzione fisiologica (500 ml), sacca a pressione e appendino; linea di pressione arteriosa integrata o singoli componenti (ossia: trasduttore di pressione, tubo di linea arteriosa [tubo di pressione non conforme], rubinetti a 3 vie)
  13. Strumenti chirurgici: porta aghi, pinza anatomica, pinza Klemmer, forbici, bisturi monouso e pinza portagarze;
  14. Materiale per lo smaltimento: compreso il contenitore per taglienti e per le guide.

1.5.2 Preparazione del paziente 

Prima di procedere all’introduzione del catetere arterioso, occorre: 
  1. Informare il paziente, se cosciente, delle motivazioni della manovra;
  2. Posizionare il paziente in base alla sede di accesso arterioso;
  3. Eseguire il test di Allen, in caso di incannulazione dell’arteria radiale;
  4. Preparare la sede indicata di caterizzazione: detergere la cute e se necessario eseguire tricotomia;
  5. Delimitare l’area di inserimento con telini sterili;
  6. Disinfettare la cute con la soluzione di iodopovidone a partire dal centro ed espandendo poi il campo in modo circolare. La disinfezione viene ripetuta cambiando le garze e lasciando asciugare il disinfettante a seconda del tempo di contatto, contribuendo così a una valida azione antisettica.
  7. Anestetizzare il sito di incannulamento;
  8. Preparare il materiale necessario elencato precedentemente su un campo sterile.

1.5.3 Test di Allen 

Prima di procedere all’incannulazione dell’arteria radiale, viene impiegato il test di Allen per verificare la perfusione della mano attraverso l’occlusione alternata dell’arteria radiale e ulnare. Questo test, infatti, ha lo scopo di verificare la pervietà del circolo collaterale poiché una lacerazione dell'arteria potrebbe provocare il rischio di un’ischemia.

Procedimento:
  1. Al paziente viene richiesto di posizionare il proprio braccio verticalmente e contestualmente stringere con forza il pugno al fine di eliminare la maggior quantità possibile di sangue dalla mano. Tale sforzo deve essere mantenuto per circa 30 secondi;
  2. Applicare una compressione sulle arterie radiale e ulnare al polso, in modo tale da bloccare il flusso di sangue al loro interno;
  3. Mentre la compressione è mantenuta il paziente riapre la mano, che appare pallida (si osservi in particolare il letto ungueale);
  4. Togliere la compressione dell’arteria ulnare, continuando quella sull’arteria radiale ed osservare il palmo della mano per la comparsa di arrossamento:
  • test di Allen positivo: la mano riprende rapidamente colore entro 5-7 secondi. L’arteria ulnare è in tal caso competente e si può procedere a puntura e/o incannulamento dell’arteria radiale perché, se questa si dovesse occludere, non verrebbe compromessa la circolazione della mano.
  • test di Allen negativo: Se il colore della mano non ritorna nella norma nel giro di 7-10 secondi, non è possibile procedere a puntura/incannulamento dell’arteria radiale. L'apporto di sangue alla mano da parte dell'arteria ulnare non è sufficiente.

Eseguire nello stesso modo il test anche per l’altra arteria.

1.5.4 Anestetizzare il sito di incannulamento 

Al fine di eseguire l’anestesia locale del sito di incannulamento, occorre: 
  1. Iniettare 1 o 2 ml di anestetico (lidocaina all’1 o al 2%) nella pelle e sottocute lungo il percorso previsto per l'inserimento dell'ago. L’angolo di ingresso ottimale è fra i 30 e i 45 gradi. 
  2. Mantenere una leggera pressione negativa sullo stantuffo della siringa mentre si avvicina l'ago per identificare il posizionamento intravascolare ed evitare un'iniezione intravascolare.

1.6 Introduzione del catetere arterioso 

Nel caso si sia scelta l’arteria radiale come sito di caterizzazione, occorre spostare la mano in posizione palmare, dorsoflessa sul polso. Se il paziente è cosciente, si esegue anestesia locale nel punto di iniezione, come descritto precedentemente. Dopodiché: 

  1. Usando la mano dominante, tenere il dispositivo di incannulamento tra il pollice e l'indice. L’arteria verrà palpata per alcuni centimetri lungo il suo decorso sul polso per guidare meglio l'inserimento dell'ago in arteria.
  2. Inserire il dispositivo di incannulamento con lo smusso dell'ago rivolto verso l'alto direttamente sopra la linea mediana del polso radiale, almeno 1 cm prossimale al capitello radiale, e farlo avanzare prossimalmente a circa un angolo di 30-45 gradi nella pelle, per intersecare l'arteria.
  3. Far avanzare stabilmente il dispositivo di incannulamento fino a quando un reflusso di sangue rosso vivo appare nel serbatoio del dispositivo, indicando che la punta dell'ago è entrata nel lume arterioso.
  4. Tenere il dispositivo immobile in questo punto
  5. Una volta assicurato il posizionamento intra-arterioso, si fissa il catetere e si medica il sito.

Se non compare il reflusso di sangue dopo aver inserito per 1-2 cm il catetere, estrarre lentamente e gradualmente il dispositivo, cambiando direzione e provando nuovamente a farlo avanzare nell'arteria fino a quando il flusso pulsatile è evidente, il che conferma il posizionamento intra-arterioso. Tenere ininterrottamente immobile il dispositivo di incannulamento in questo punto. Successivamente il catetere viene assicurato alla cute con apposita medicazione. 

È pertanto necessario, nelle prime ore post incannulamento, monitorare scrupolosamente il paziente e prestare attenzione al sito di inserimento per rilevare precocemente eventuali complicanze.

Dopo l’introduzione del catetere, l’infermiere registrerà in cartella:
  • Data, ora e sede di inserzione;
  • Misura del catetere arterioso inserito;
  • Tecnica di inserimento;
  • Complicazioni impreviste e terapie specifiche d’intervento;
  • Risposta e tolleranza delle pazienze all’intervento;
  • Condizione dell’arto in cui è stato inserito il dispositivo;
  • Presenza del polso periferico;
  • Aspetto della sede dopo l’inserimento.

1.7 La corretta gestione dei cateteri intravascolari: linee guida per la prevenzione delle infezioni (CDC 2011)

Le presenti linee guida, contenute nel documento "Linee guida per la prevenzione delle infezioni da cateteri intravascolari" e considerate prudenziali dai membri dell’Hospital Infection Control Practices Advisory Committee (HICPAC) (CDC, 2011), hanno l’obiettivo di fornire raccomandazioni per l'adozione di comportamenti clinici ed assistenziali, basati sulle migliori prove di efficacia disponibili per la prevenzione delle infezioni correlate all'uso di cateteri intravascolari. In particolare, gli obiettivi generali posti per la sua stesura sono:

  • Corretta valutazione dei fattori di rischio che favoriscono l'insorgenza di infezioni;
  • Adozione delle misure preventive più appropriate ed efficaci;
  • Trend in diminuzione delle infezioni da catetere intravascolare.
La forza delle raccomandazioni nel modello HICPAC/CDC è così classificata:
  • Categoria IA: Strategia fortemente raccomandata per l'implementazione e fortemente supportata da studi sperimentali, clinici o epidemiologici ben disegnati.
  • Categoria IB: Strategia fortemente raccomandata per l'implementazione e supportata da alcuni studi sperimentali, clinici o epidemiologici e da un forte razionale teorico oppure, pratica accettata e diffusa (es. tecnica asettica) benché supportata da evidenze limitate.
  • Categoria IC: Pratica richiesta da norme, regolamenti o requisiti istituzionali.
  • Categoria II: Pratica suggerita per l'implementazione e supportata da studi clinici o epidemiologici rilevanti o da un razionale teorico.
  • Problema irrisolto: Indica una questione per la quale l'evidenza disponibile non è sufficiente oppure in merito alla cui efficacia non esiste ampio consenso.
Sorveglianza:

La sorveglianza è un aspetto fondamentale nella prevenzione e gestione delle infezioni. Ogni professionista della salute ha il compito di raccogliere dati per permettere di stimare il rischio infezione, valutare le pratiche assistenziali e aumentare la sensibilità collettiva verso il problema.

Formazione ed educazione degli operatori sanitari:

Le linee guida CDC 2011 hanno introdotto delle importanti novità nell’ambito della formazione ed educazione degli operatori sanitari:

  1. L’impianto e la gestione dei cateteri intravascolari sono affidati soltanto a personale addestrato che abbia dimostrato competenza in queste manovre (Categoria IA). 
  2. Per tutti coloro che inseriscono e gestiscono cateteri intravascolari, occorre valutare periodicamente le conoscenze e l’aderenza alle linee guida e il grado di applicazione delle stesse. (Categoria IA).
  3. Assicurare appropriati livelli di preparazione nel personale infermieristico delle Terapie Intensive per rendere minimo il rischio di CRBSI. (Categoria IB).
Igiene delle mani e tecnica asettica:

L’igiene delle mani è la misura più efficace nella prevenzione della trasmissione di agenti patogeni associata all’assistenza sanitaria. La promozione dell’igiene delle mani e le strategie di miglioramento multimodale hanno un forte impatto sulle pratiche dell’operatore sanitario, e possono ridurre le infezioni associate all’assistenza e la diffusione di microrganismi resistenti.

Si è dimostrato, infatti, che il rischio d’infezione diminuisce in seguito alla standardizzazione di procedure assistenziali asettiche e che, viceversa, il rischio di colonizzazione del catetere arterioso aumenta con la gestione del presidio da parte di personale senza esperienza specifica. Al fine di evitare l’insorgenza di “catheter-related bloodstream infection” (CRBSI), occorre osservare alcune importanti raccomandazioni:

  • L’igiene delle mani deve essere eseguita prima e dopo aver palpato il sito di emergenza del catetere nonché prima e dopo l’inserzione, la sostituzione, l’accesso, la riparazione o la medicazione del catetere intravascolare.  (Categoria IA)
  • La palpazione del sito di emergenza non dovrebbe essere eseguita dopo l’applicazione di antisettici, a meno che ciò non sia compatibile con il mantenimento della tecnica asettica. (Categoria IB)
  • Per provvedere ad una appropriata igiene delle mani, occorre utilizzare saponi contenenti antisettici ed acqua o creme o gel senza acqua a base di alcol (Categoria IA)
  • Indossare guanti sterili durante l’inserzione di cateteri arteriosi, mantenendo un’adeguata tecnica asettica. (Categoria IA)
  • Indossare guanti puliti o sterili quando si sostituisce la medicazione di un catetere intravascolare. (Categoria IC)
Antisepsi cutanea 
  • Pulire la cute con una soluzione a base di clorexidina >0.5% in alcool prima dell’impianto di cateteri arteriosi periferici e durante la medicazione del sito di emergenza. In caso di specifica controindicazione alla clorexidina, possono essere usati in alternativa una tintura iodata, uno iodoforo o una soluzione di alcool al 70% (Categoria IA).
  • Usare lavaggi quotidiani con soluzioni di clorexidina al 2% al fine di ridurre le CRBSI (Categoria II).
  • Prima dell’impianto del catetere, ogni antisettico deve essere lasciato ad asciugarsi sulla cute.
  • in accordo con le indicazioni del produttore (Categoria IB).
  • Non applicare solventi organici (etere) prima dell’inserimento o durante il cambio delle medicazioni (categoria IA).
Medicazione del sito di inserimento del catetere

La gestione del sito di inserzione del catetere è di fondamentale importanza e prevede, oltre l’antisepsi cutanea, la sostituzione periodica delle medicazioni di fissaggio. Questa viene attuata a intervalli prestabiliti o in modo estemporaneo non appena la medicazione appaia allentata, umida, visibilmente sporca, oppure quando umidità, secrezioni o sangue siano evidenti al di sotto la medicazione. 

La medicazione periodica del sito di inserimento del catetere intrarterioso consente di valutare l’integrità e il funzionamento del dispositivo e di osservare la cute circostante, mediante ispezione visiva e palpazione, per l’individuazione precoce dei segni d’infezione, di infiammazione o segni di complicanze.

Inoltre, la medicazione permette anche di proteggere il sito di inserzione e minimizza la possibilità di infezione tramite il contatto tra la superficie del catetere e la cute. Nella gestione e nella sostituzione delle medicazioni, bisogna sempre rispettare la tecnica asettica. 

Per una corretta gestione del catetere arterioso, le linee guida (CDC 2011) ci indicano alcune importanti raccomandazioni per un’efficiente medicazione:
  • Coprire il sito di emergenza del catetere con garze sterili o medicazioni trasparenti semipermeabili sterili. (Categoria IA).
  • In caso di sudorazione profusa o di sanguinamento del sito di impianto, utilizzare medicazioni con garza fino alla risoluzione del problema (Categoria II).
  • Sostituire la medicazione ogni qual volta risulti essere sporca, bagnata o staccata (Categoria IB).
  • Le medicazioni con membrane semipermeabili trasparenti che coprono il sito di inserzione vanno sostituite ogni 5-7 giorni.
  • È necessario fissare bene le medicazioni per ridurre il rischio di allentamento/dislocazione che può comportare un aumento del rischio di infezione.

Capitolo 2: Il sistema di misurazione arterioso

2.1 Componenti del sistema di misurazione 

Le componenti del sistema di misurazione comprendono:

  1. Cannula arteriosa;
  2. Tubo di collegamento tra cannula e trasduttore: trasmettere l’onda sfigmica alla cupola del trasduttore, mediante la soluzione fisiologica in esso contenuta. Tale tubo deve avere le seguenti caratteristiche:
  • bassa compliance: deve essere rigido e non espandersi con le variazioni pressorie al suo interno.
  • corto e di adeguato diametro, onde permettere una migliore trasmissione delle onde di pressione.
  1. Trasduttore, è in grado di rilevare un ampio spettro di valori pressori (per esempio da -200 a +400 mmHg) e può quindi essere utilizzato per misurare praticamente tutte le pressioni fisiologiche. Le caratteristiche costruttive possono variare ma fondamentalmente è costituito da:
  • Trasduttore elettronico: contiene circuito elettronico che converte le variazioni di pressione in variazioni elettriche ed è collegato all’amplificatore/monitor mediante un cavo elettrico;
  • Calotta o cupola: la soluzione fisiologica in essa contenuta trasmette l’onda sfigmica del paziente al trasduttore con l’interposizione di una sottile membrana che la isola da quest’ultimo per garantire la sterilità. Essa è munita di due aperture:
  • una inferiore, alla quale viene collegato il sistema di tubi: catetere di collegamento al paziente, sacca infusionale pressurizzata, regolatore di flusso;
  • una superiore, che, attraverso un rubinetto, mette in comunicazione la cupola con l’aria.
  1. Sistema di flusso continuo: mantiene un flusso continuo, minimo (3ml/h), di soluzione fisiologica all’interno della cannula arteriosa e del catetere tra questa e la cupola: in tal modo vengono evitati l’occlusione da coaguli ed il reflusso di sangue. È composto da:
  • sacca flessibile, contenente soluzione fisiologica, preferibilmente eparinata (100 unità di eparina/ 500 ml di soluzione fisiologica, cioè 2 unità/ml). Alla sacca è collegato un deflussore con microgocciolatore (60 gtt/ml);
  • manicotto di pressurizzazione, che avvolge la sacca flessibile e, quando gonfiato con l’apposita peretta, la pone sotto pressione. Questa deve essere di 300 mmHg, in modo tale da essere adeguatamente superiore alla pressione sistolica; un manometro indica la pressione della sacca;
  • valvola di deflusso (intraflo): interposto tra deflussore della sacca di soluzione fisiologica e catetere-paziente. Collegato alla cupola del trasduttore, permette un flusso continuo di 3 ml/h di soluzione fisiologica e la contemporanea trasmissione dell’onda sfigmica alla cupola. Una valvola di flusso rapido, se aperta, incrementa il flusso ad 1÷ 2 ml/secondo e permette di lavare il sistema.
  1. Amplificatore/monitor: amplifica il segnale elettrico del traduttore e lo rappresenta su un oscilloscopio incorporato, in due modi:
  • analogico: viene disegnata l’onda sfigmica man mano che si forma nell’arteria; dalla sua conformazione si possono rilevare importanti dati e verificare il corretto funzionamento del sistema di montaggio;
  • digitale: sono indicati i valori numerici di pressione: sistolica, diastolica e/o media. Questi vengono calcolati dall’apparecchio ogni pochi secondi.
L’apparecchio è dotato di comandi di regolazione che possono essere più o meno numerosi, asconda della sua sofisticazione.

I principali sono:

  • selezione della scala: la scala è proporzionale alla grandezza della pressione che si vuole monitorizzare; per la pressione arteriosa è generalmente adeguata una scala da 0 a 200 mmHg; se però i valori sistolici sono dell’ordine di, poniamo, 80 mmHg, è preferibile una scala da 0 ÷ 100 mmHg. Per altri tipi di pressioni, più piccole (intracranica, atriale) si useranno altre scale: 0 ÷ 200, 0 ÷ 40, ecc...
  • azzeramento: permette di azzerare il sistema di misurazione, come descritto in seguito;
  • Regolazione dei limiti di allarme, minimo e massimo, e del parametro (pressione sistolica, diastolica o media) sul quale agiscono;

Sul monitor, oltre al tracciato pressorio, viene anche rappresentato il tracciato elettrocardiografico (ECG). Inoltre, possono essere rappresentate più curve pressorie contemporaneamente. All’amplificatore/monitor può essere collegata una scrivente, per avere una documentazione scritta dei tracciati, od un computer per una ulteriore elaborazione dei dati da esse offerte. È sempre consigliabile studiare il relativo manuale di istruzione.

2.2 Montaggio della linea arteriosa 

Per il montaggio della linea arteriosa, occorre:
  1. Collegare il trasduttore all’amplificatore/monitor ed accendere l’apparecchio in modo che si riscaldi per qualche minuto e si porti a regime;
  2. Preparare la soluzione di infusione:
  • Aggiungere 1000 UI di eparina alla sacca di soluzione fisiologica;
  • Rimuovere dalla sacca tutta l’aria, mediante ago e siringa;
  • Collegare ad essa il deflussore;
  • Aprire lo stringitubo del deflussore e la valvola a flusso rapido dell’intraflo e, comprimendo con la mano la sacca flessibile, riempire il deflussore di soluzione fisiologica, eliminando tutta l’aria; riempire fino ad 1/3 la camera di deflusso del microgocciolatore.
  1. Inserire la sacca di soluzione fisiologica nel manicotto di pressurrazione;
  2. Mantenendo verticale il trasduttore, far cedere una o due gocce di soluzione fisiologica dell’intraflo sul diaframma ed applicare la calotta, avvitando strettamente;
  3. Avvitare alla via superiore della calotta un rubinetto a tre vie (R1, rubinetto-aria). Avvitare alla via inferiore l’estremità prossimale dell’intraflo.
  4. Riempire la calotta di soluzione fisiologica, eliminando l’aria:
  • Apire il rubinetto R1 verso l’aria;
  • Chiudere verso il paziente il rubinetto R2, inserito dopo l’Intraflo;
  • Tirare la valvola di flusso rapido;
  • Chiudere il rubinetto R1.
  1. Riempire il catetere di collegamento al paziente, eliminando tutta l’aria:
  • Aprire i rubinetti R2 ed R3 della via-paziente e togliere il tappo terminale;
  • Tirare la valvola di flusso rapido;
  • Rimettere il tappo terminale (sterile).
  1. Sostituire progressivamente i tappi dei rubinetti, eliminando l’aria dagli spazi morti mediante apertura del rubinetto e della valvola di flusso rapido;
  2. Pressurrizzare a 300 mmHg il manicotto;
  3. Collegare il catetere-paziente alla cannula arteriosa e tirare per qualche secondo la valvola di flusso dell’Intraflo, in modo da lavare la cannula stessa dal sangue.

2.3 Azzeramento del sistema di misurazione 

Dopo aver posizionato il trasduttore è necessario azzerare il sistema elettronico di misura: questa manovra è comunemente chiamata “fare lo zero”. Dapprima, mettiamo in comunicazione l’interno della calotta del trasduttore con l’esterno, dopo avere chiuso il rubinetto della via-paziente.

In tal modo, la pressione interna della cupola è uguale a quella atmosferica, assunta pari a zero. Premendo l’apposito pulsante sull’amplificatore/monitor, facciamo sì che le pressioni da questo indicate corrispondano a zero: la traccia analogica si porta a livello zero sulla scala delle pressioni e i valori digitali indicano zero, o valori molto prossimi ad esso. 

Successivamente, rimettiamo in comunicazione l’interno della calotta con il sistema arterioso del paziente, dopo aver chiuso la sua comunicazione con l’esterno. Sul monitor comparirà quindi il tracciato pressorio ed i corrispondenti valori digitali.

2.4 La curva di pressione arteriosa

Una volta collegato il catetere intrarterioso al monitor, per mezzo del trasduttore di pressione, si ottiene il monitoraggio diretto della pressione arteriosa, sotto forma di ondulazioni continue sull’oscilloscopio e di valori pressori numerici su un indicatore digitale.

L’onda è riprodotta grazie all’energia meccanica che dalla punta del catetere si trasmette a un trasduttore dove viene convertita in un segnale elettrico convertito a sua volta da un analizzatore in onda. 

Un corretto nursing deve tener conto dell’analisi dell’onda pressoria. Le informazioni che si possono ottenere da questa curva di pressione sanguigna arteriosa riguardano la contrattilità miocardica, la frequenza cardiaca, la volemia e le conseguenze di aritmie. Questa tecnica permette di individuare tempestivamente qualunque anomalia dei valori pressori, permettendo di intervenire rapidamente con una terapia specifica. 

Per meglio comprendere il dato rilevato occorre aver presente la genesi dell’onda pressoria che appare come in figura:

  1. Rappresenta l’ascesa rapida correlata alla sistole ventricolare sinistra e al complesso QRS registrato dall’ECG.
  2. Rappresenta il picco sistolico; il suo valore numerico è la pressione sistolica registrata.
  3. Rappresenta l’incisura dicrota; rappresenta la chiusura della valvola aortica.
  4. È la diastole ed è rappresentata da una diminuzione continua della pressione. Il valore numerico del punto più in basso è la pressione diastolica.

2.5 Accuratezza del sistema di monitoraggio: il test dell'onda quadra

Al fine di valutare il corretto funzionamento del sistema di monitoraggio arterioso e testare la qualità e validità dell’onda, si effettua il test dell’onda quadra. Tale test consiste nell'eseguire dapprima un lavaggio rapido del circuito, con un flusso e una pressione elevati, seguito da una brusca chiusura della valvola di lavaggio dopo circa 3-4 secondi. 

Osservando la morfologia dell'onda durante la procedura, noteremo che, in un primo momento, questa andrà fuori scala seguendo una linea verticale a cui, successivamente, farà seguito una linea orizzontale (finché la valvola di lavaggio rimane aperta). Non appena si chiude la valvola, l'onda sfigmica da orizzontale tornerà improvvisamente a decrescere verticalmente (da qui il nome di onda quadra) e seguiranno delle onde di assestamento (damping).

La risposta dinamica del sistema di trasduzione è caratterizzata da due proprietà fisiche: la frequenza naturale (espressa in Hz-cicli al secondo), ovvero la velocità con la quale il sistema risponde a una sollecitazione pressoria, e il coefficiente di attenuazione, cioè la velocità di decadimento delle oscillazioni del sistema di trasduzione. Un buon sistema di attenuazione si ha quando l’onda di rimbalzo è già la metà della prima (rapporto 0,5).

Il test dell’onda quadra deve essere ripetuto almeno ogni 8-12 ore, oppure ogni qualvolta si sospetti una misurazione errata della pressione o si effettui un prelievo (utilizzando lo stesso catetere del sistema di misura), ma anche dopo ogni set up e/o sostituzione del sistema o di sue parti. 


Capitolo 3: conclusioni

Il monitoraggio emodinamico avanzato rimane una pietra miliare nella gestione del paziente critico. L’attenta valutazione clinica infermieristica è fondamentale in area critica, in quanto costituita essenzialmente dall’osservazione diretta e dalla cura continua del paziente in considerazione delle molteplici variabili emodinamiche che si potrebbero presentare. 

Nelle U.O. di Terapia Intensiva, il posizionamento del catetere arterioso si rivela molto efficace per la rilevazione seriata dei diversi parametri emodinamici, dati che, opportunamente elaborati, consentono un’approfondita analisi della funzione cardiocircolatoria, finalizzata ad un corretto programma diagnostico e terapeutico.

Inoltre, il monitoraggio invasivo continuo consente di ottenere informazioni utili al mantenimento della perfusione d’organo attraverso riequilibri volemici e terapia con farmaci vasoattivi per ottimizzare la gittata cardiaca e la disponibilità di ossigeno.

Le specifiche competenze di gestione in tema di monitoraggio emodinamico invasivo rivestono un ruolo fondamentale in termini di qualità delle cure; una loro carenza si associa ad esiti sub-ottimali e compromette il successo terapeutico.

L’infermiere è il professionista sanitario che in prima persona si occupa del paziente critico e per questo è indispensabile che le sue scelte assistenziali si basino sulle migliori evidenze disponibili: soltanto in questo modo egli sarà in grado di erogare un’efficace assistenza tesa a soddisfare le richieste dell’utenza attraverso la riduzione del discomfort e delle complicanze associate a questo tipo di dispositivi. 

L’infermiere, dunque, in questi contesti altamente tecnologici, rappresenta la componente insostituibile, mentre verosimilmente, non lo sono le infrastrutture strumentali, specialmente se queste tendono a sostituirsi all’uomo. In particolar modo, nello specifico contesto dell’intensità di cura, il lavoro in team ha una sua influenza sull’outcome del paziente.

La formazione dei professionisti deve essere sempre realizzata nell’ottica della interdisciplinarità; questo avrebbe un impatto positivo non solo sull’esito delle cure, ma anche sulla motivazione dei professionisti.

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Autore: dott.sa Federica Scoletta 

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Foto di Anna Shvets

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