Dove posizionare l'accesso venoso e perché

accesso vascolare

Il posizionamento di un accesso venoso è un momento unico, a causa della variabilità del patrimonio venoso con cui l'infermiere può trovarsi di fronte. Ci sono infermieri con esperienza che quando li vedi posizionare un ago cannula lo fanno con una destrezza tale da farla sembrare la cosa più facile del mondo.

Questa procedura a volte è un successo e a volte una sconfitta da gestire è necessario definire una propria tecnica e comprendere cosa non ha funzionato quando c'è un insuccesso.

Il nostro assistito ha una sua storia e le sue vene la rispecchiano: c'è chi non è mai stato in ospedale, chi ha un'età avanzata e chi ha fatto molte terapie.

L'accesso vascolare più semplice da posizionare è quello di un'agocannula in un paziente che non ha mai ricevuto una terapia infusionale. Teniamo presente che questo è vero quando siamo davanti a un braccio di costituzione media perchè se il paziente è sovrappeso o sottopeso, ci sono delle difficoltà tecniche da prendere in considerazione.

La valutazione oggettiva del braccio si accresce necessariamente con l'esperienza perchè come infermieri scriviamo poco di ciò che è semplice o che è il nostro quotidiano.

Questo articolo l'ho pensato per offrire uno spunto di riflessione su come migliorare le proprie capacità e cosa ci si troverà davanti, senza dimenticare che non deve essere trascurato l'aspetto relazionale e comunicativo.

Gli effetti di un posizionamento eseguito male possono essere inaspettati, attenzione non è solo l'insuccesso nel prendere la via o il malposizionamento, anche una cannula posizionata senza un buon approccio comunicativo può essere tale. Davanti ad un un posizionamento eseguito male possiamo avere degli effetti del tipo:

  • favorire una fobia per gli aghi o per la struttura sanitaria;
  • rendere necessario l'uso di un accesso venoso più complesso con maggiori rischi di complicanze;
  • favorire la formazione di flebiti batteriche e, di conseguenza, il rischio di trombosi e di infezioni a distanza;
  • ridurre il patrimonio venoso senza che venga utilizzato.

Questo articolo tralascia di spiegare cos'è un agocannula, le misure e i modelli perchè è pensato per un infermiere e di conseguenza molti elementi che sono standard procedurali non li ripeto nel dettaglio, ma restano fondamentali.

Le prime azioni da mettere in campo sono:

  1. la preparazione del materiale, prevedendo sia il successo che l'insuccesso;
  2. creare un ambiente confortevole ed ergonomico, che migliora la performance;
  3. la comunicazione con l'assistito, il cui effetto è molto variabile e dipende in parte da noi e in parte dall'assistito stesso;
  4. la valutazione e il foro;
  5. la gestione del fallimento.
1) La preparazione del materiale e il lavaggio delle mani

Queste azioni sono ampiamente previsti nelle procedure, ma aggiungerei di preparare anche l'occorrente nel caso si debba medicare un tentativo non riuscito.

In questo testo vorrei aggiungere quanto non viene previsto dalle procedure per il semplice motivo che i nostri assistiti sono unici anche se gli riconosciamo caratteristiche comuni non sono mai tutti uguali.

2) L'ambiente ergonomico

L'ambiente ergonomico vuol dire che è funzionale ai movimenti che dovrò fare e deve esserlo anche per l'assistito, in questo modo entrambi potremo fare del nostro meglio. Quando posizioniamo un ago cannula non tutti i giorni sono uguali a volte abbiamo mal di schiena ed essere seduti ha un duplice aspetto: mette a suo agio l'assistito e ci consente di fare una procedura migliore.

3) La comunicazione

La comunicazione ha il peso più rilevante e anticipa quello che sarà il rapporto di fiducia con l'assistito.

Dobbiamo dire sempre o nelle sue varianti, "le faccio un foro per posizionare un ago cannula che servirà per infondere le terapie" se l'assistito acconsente bene, altrimenti abbiamo finito. 

La frase successiva declinerà il nostro rapporto con l'assistito, mentiamo spudoratamente "tranquillo non le faccio male" oppure cerchiamo di essere sinceri " farò de mio meglio per non farle sentire niente ma è pur sempre un foro" dipende dalla persona che abbiamo davanti.

Comunicare correttamente dipende molto anche da come ci poniamo: la nostra postura, l'espressione del volto (il periodo del COVID ci ha insegnato che è sufficiente uno sguardo per comunicare), il tono della voce, le informazioni essenziali per l'assistito questo perchè troppe informazioni in alcune persone possono avere l'effetto di creare confusione e agitazione.

Nella comunicazione non includerei solo le parole, ma anche la postura, lo sguardo, il movimento delle mani e il rispetto per ciò che si sta facendo e per chi si ha di fronte. Il pensare che la comunicazione richieda un approccio globale può spaventare, ma non si impara dopo aver fatto un corso, bensì con l'esercizio continuo e addestrando il proprio autocontrollo.

L'effetto atteso è di tranquillizzare il nostro assistito, renderlo partecipe e collaborativo, così che favorisca la buona riuscita della tecnica e, in caso di insuccesso, non subisca un trauma. Una comunicazione errata potrebbe amplificare la percezione del dolore o far percepire una buona esecuzione come pessima, ma sono casi rari di persone ipersensibili in un momento in cui sono particolarmente irritabili.

Le vene sono una parte del corpo che risponde agli stimoli nervosi, se l'assistito è nervoso e teso sbagliare il primo tentativo renderà più difficoltoso il secondo. 

Oppure possiamo avere rari casi in cui l'assistito è prevenuto verso di noi, e si innervosisce perchè ha dei preconcetti derivanti da voci e "sentito dire" o semplicemente ci sta discriminando e non è collaborativo. Questo rende più difficile la procedura. Nel caso sia palesemente contrario alla prestazione e rifiuti il posizionamento di un'agocannula, la procedura si interrompe. L'assistito ha sempre il diritto di rifiutare, ma per fortuna sono casi rari.

4) La valutazione e il foro le basi della tecnica

La buona tecnica poi richiede il lavaggio delle mani e la preparazione di tutto il materiale necessario richiede un piccolo vassoio tipo un arcella, prevedendo anche qualcosa in più nel caso si presenti un insuccesso. Il posizionamento dell'ago cannula richiede poi di iniziare una fleboclisi o meno a seconda della prescrizione o delle indicazioni cliniche.

Prima dobbiamo parlare del momento prima del foro la valutazione dell'avambraccio.

Dove non posizionare un accesso venoso

È sempre sbagliato usare come prima scelta le vene del braccio, poiché una flebite precluderebbe il posizionamento di un accesso tipo Midline o PICC.

La vena cubitale mediana, nella piega del gomito, è da usare come scelta estrema, dato che una sua flebite può portare a un non utilizzo delle vene a valle.

Le vene degli arti inferiori NON sono da utilizzare, o è necessario farlo con estrema cautela per l'alto rischio di complicanze gravi da flebiti come trombosi e fasciti.

Quando sussistono delle situazioni di emergenza è chiaramente possibile usare quasiasi vena si trova, ma poi vanno rimosse appena possibile.

Puoi cercare nelle linee guida che qualcuno ti dice cosa pensare, ma se ci rifletti un attimo è una questione di strategia e buon senso per non vedere mai certi risultati.

La valutazione dell'avambraccio e della mano

La scelta della vena dipende dalle necessità terapeutiche e dal patrimonio venoso presente. Spesso è necessario ragionare in fretta, abbiamo i minuti contati per le attività pianificate, quindi la nostra attenzione va subito alla vena più "bella".

La vena ideale, quella più bella, si trova sull'avambraccio e va dalla mano alla piega del gomito; deve avere un tratto rettilineo di almeno 3 centimetri, con un diametro adeguato alla cannula che dobbiamo posizionare, e non deve trovarsi in prossimità di un'articolazione.

Una volta decisa la vena, è necessario "sentire" se è possibile incannularla. Le vene si vedono con gli occhi, ma soprattutto con le dita.

La differenza non è solo "poetica", ma dipende dalle nostre capacità: vedere una vena con gli occhi crea un'immagine bidimensionale, ma la vena è tridimensionale. Se la "vediamo" con il tatto di due dita contemporaneamente, allora possiamo ricostruire un'immagine in 3 dimensioni e conoscerne anche il diametro, la profondità e la direzione.

La prima valutazione delle braccia è visuale perché ci racconta tanto del vissuto del paziente. Ad esempio:

  • Nell'anziano è possibile vedere se le vene sono in un solco; vuol dire che è dimagrito molto e sono sicuramente molto mobili e fragili.
  • Ematomi lungo le vene sono un ulteriore conferma che ci sono vene fragili e mobili e serve una strategia aggiuntiva (come posizionare il laccio, decidere dove forare, quindi togliere il laccio, riposizionarlo e poi pungere rapidamente prima che la vena diventi troppo tesa).
  • La corporatura è un fattore che ci richiede una maggiore o minore sensibilità con le dita.

La capacità di "sentire" una vena si allena, non è una dote innata; è necessario esercitarsi anche su se stessi. Non sempre si sente quel "qualcosa" che chiamerai vena. In sequenza, immagina di:

  • Sentire al tatto la pelle sopra la vena, il suo spessore, la sua mobilità, fa una plica se possibile, questo allena i sensi delle dita ad avere una corrispondenza fra quello che senti e quello che è lo spessore.
  • Il tessuto ipodermico, se lo riesci ad identificare, è presente con uno spessore diverso a seconda della sede, il dorso della mano, l'avambraccio e il braccio hanno spessori diversi.
  • Sentire i muscoli: sono al lato della vena o sottostanti ad essa.
  • Sentire e identificare i tendini e le ossa: importante sulla mano, ricorda che i tendini sono all'estremità dei muscoli, possono essere spessi come una vena ma sono duri e incomprimibili; necessario per il posizionamento nella piega del gomito.
  • Imparare a distinguere l'arteria: l'anatomia ti aiuta, ma il tatto completa le informazioni, perché è un vaso che non cambia di diametro con o senza laccio e inoltre pulsa.

Questi sono piccoli suggerimenti ma la cosa migliore che ti consiglio è di definire una tua tecnica di allenamento che a sua volta migliorerai ogni volta che c'è un insuccesso, cercando di superare l'errore.

Quando hai davanti un paziente che ha fatto molte terapie potresti sentire una vena dura anche senza laccio; questo richiede una maggiore sensibilità e, prima di pungere, è necessario valutare la tensione della vena con e senza laccio, per distinguere le vene con possibili fenomeni trombotici.

Nel paziente oncologico è possibile trovare un buon patrimonio venoso, perché la cultura della gestione delle vene è ben radicata e probabilmente ha un accesso venoso centrale.

Nel paziente che fa terapie antibiotiche prolungate per infezioni settiche, facilmente il patrimonio venoso è scarso.

Il paziente con braccia corpulente richiede una buona sensibilità al tatto. Qualcosa si trova: nella parte esterna dell'avambraccio dove scorre la vena cefalica (spesso chiamata radiale), è profonda ma con il tatto si riesce a sentire. È necessario incannularla sempre iniziando dalla parte più distale, per consentire tentativi successivi più a monte. Sul lato interno dell'avambraccio scorre la vena basilica (spesso chiamata ulnare), che spesso è più mobile e difficile della cefalica.

Quando ci sono casi difficili?

Abbiamo due vene "particolari" da provare:

  • Una è sotto l'orologio (presente in chi lo porta) spesso inutilizzata si presenta bene.
  • L'altra è dietro l'avambraccio, vicino al gomito. Quest'ultima in molte persone è subito ben visibile, ma è una vena molto difficile che consente un solo tentativo. Questa vena consentini il termine, io la chiamo "la vena della disperazione". Il motivo lo scoprirai la prima volta che ti sarà necessario forarla: è mobile, difficile da tenere ferma e richiede una posizione scomoda, tutti fattori che favoriscono l'insuccesso.

Quindi scegliamo la vena. La pratica ci porta ad una decisione veloce, ma potrebbe facilmente rivelarsi un errore se possibile prendiamoci un attimo di tempo.

Il momento del posizionamento di un'agocannula è anche un momento dove fare un passo di strategico importante, si deve tenere presente se sarà necessario un utilizzo per più giorni; quindi, pensiamo anche a dove verrà posizionato l'accesso successivo.

Il paziente deve potersi muovere, quindi le sedi vicino alle articolazioni sono problematiche e rischiose per la formazione di complicanze. Il dorso della mano sembra avere vene facili, ma il fissaggio è complicato perché la mano è soggetta a movimenti quotidiani e quindi il rischio di una dislocazione è sempre in agguato.

Il paziente magro spesso presenta grosse vene nel bicipite. Scusatemi il tono, ma scegliere in prima intenzione quelle vene del braccio è un atto "criminale". La formazione di una flebite inficerebbe la successiva possibilità di posizionare un PICC.

La posizione che in linea teorica è la migliore è quella sull'avambraccio, partendo dalla posizione più distale possibile. Spesso qui sono presenti vene lineari e il braccio si muove lasciando inalterato il fissaggio.

Una volta posizionato l'accesso venoso, inizia la terapia infusionale e abbiamo fatto un buon lavoro se e solo se;

  • abbiamo rispettato una rigorosa asepsi,
  • abbiamo parlato in modo adeguato al paziente,
  • se verifichiamo l'esito percepito, ha sentito male, quali movimenti riesce a fare.

Cosa fare quando si sbaglia il posizionamento di un'agocannula?

Il fallimento della tecnica è un elemento che ci offre informazioni importantissime, ma solo se cerchiamo di comprenderlo. La comunicazione è il primo passo e ci sono almeno due approcci.

Il primo modo, che non trovo corretto, è colpevolizzare il paziente: "ha delle brutte vene", "dove le ha lasciate?", come se fosse l'assistito ad aver sbagliato qualcosa. Ma l'assistito ha quelle braccia e non può farci nulla.

Quello che trovo più corretto è scusarsi, ammettere l'errore. Un classico "Mi scusi, ho sbagliato. La vena è molto mobile/ha la pelle molto dura / è in profondità e mi è scappata", ecc. Parlare con l'assistito dei problemi riscontrati ci mette sullo stesso piano e lo rende partecipe di quanto sta accadendo.

La comprensione del motivo per cui c'è stato l'errore ci consente di migliorarci e riprovare con una maggiore probabilità di successo.

Ora, la comunicazione è un'arma a doppio taglio, e questo effetto si manifesta se sbaglio ancora.

Il tentativo successivo richiede una maggiore concentrazione, le vene rispondono a stimoli vagali che sono più o meno forti e in un caso raro mi è capitata un assistita che una volta sentito il foro ha avuto una contrazione delle vene che sono letteralmente scomparse.

Quando si conoscono le proprie capacità, se la vena non è presa al primo tentativo è possibile interrompere la tecnica consapevoli del disastro imminente e concentrando il risultato al preservare il patrimonio venoso per un tentativo successivo.

Quando facciamo un foro sbagliato e facciamo male il secondo foro ha meno probabilità di riuscire.

Non importa se per fattori del nostro paziente o per un errore di valutazione che non necessariamente riconosciamo subito.

Il secondo foro sbagliato potrebbe arrivare inaspettato o ha delle motivazioni vere o dobbiamo chiedere l'assistenza di un collega il detto "non c'è due senza tre" è una legge della vita. La dinamica dipende dal fatto che se fallisco due tentativi dopo una valutazione approfondita, è probabile che non abbia compreso qualcosa di quell'assistito e il terzo errore è quasi certo perchè ci sono stimoli emozionali che poi alterano la capacità di giudizio.

Quando è possibile, io chiedo l'aiuto di un collega non serve che sia più esperto di me a volte basta che abbia quella tranquillità e obiettività di chi non ha fatto l'errore.

La comunicazione sincera a volte fa dimenticare all'assistito l'insuccesso. Davanti a due fallimenti, dico: "Guardi, ho già sbagliato due volte e non c'è due senza tre. Oggi c'è in servizio un collega bravo e chiedo la sua assistenza".

L'insuccesso della tecnica è un evento che non possiamo cancellare, ma davanti all'assistito non dobbiamo trovare scuse, ma portare una soluzione.

La valutazione delle vene non sempre ci porta a identificare una vena adatta. Ci sono situazioni in cui al tatto non si percepiscono vene e l'avambraccio ne è privo. Che fare?

La scelta potrebbe essere di tentare una vena del braccio. Dipende dalla terapia che deve fare l'assistito: se è per pochi giorni e non c'è proprio nient'altro, allora potrebbe essere un'opzione valida. Quando invece è necessaria una terapia prolungata e non ci sono vene, ammettere che l'avambraccio presenta delle difficoltà oggettive è un motivo per chiedere il posizionamento di un accesso venoso centrale come il PICC o il Midline senza fare il posizionamento di un ago cannula.

Forse mi sono dilungato molto. Ma come ho detto all'inizio questo scritto vuole solo aiutarti a riflettere e vedrai che con la pratica che avrai modo di notale che qualcosa di giusto l'ho scritto.

Spero che questo possa essere di spunto per aprire una discussione nel forum e per condividere esperienze.

Suggerimenti per la lettura: 

Foto di Olga Kononenko su Unsplash

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