Analisi della migrazione infermieristica in Italia e impatto sul Servizio Sanitario Nazionale

migrazione

Il presente rapporto analizza il fenomeno a due vie della migrazione infermieristica che interessa l'Italia, delineando un bilancio complesso e critico per il futuro del Servizio Sanitario Nazionale (SSN). 

L'analisi rivela una situazione di complessità che richiede una pianificazione pluriennale: l'Italia, che investe risorse significative nella formazione di infermieri altamente qualificati, agisce come un esportatore netto di talento verso sistemi sanitari più attrattivi, diventando al contempo sempre più dipendente dall'importazione di professionisti stranieri per colmare le voragini di organico.

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Sul fronte quantitativo, si stima che circa 20.000 infermieri italiani lavorino stabilmente all'estero 1, con un flusso in uscita che, sebbene variabile, si attesta su diverse migliaia di unità all'anno.2 Parallelamente, oltre 38.000 infermieri stranieri sono oggi attivi in Italia, un numero in rapida crescita e sostenuto in parte da normative emergenziali che hanno semplificato le procedure di reclutamento.2

Il bilancio di questo doppio flusso migratorio è nettamente negativo per il sistema-Paese. L'afflusso di professionisti stranieri, pur essendo una risorsa indispensabile per garantire la continuità assistenziale nel breve termine, funge da soluzione tampone che maschera, senza risolverli, i profondi fallimenti sistemici alla base dell'esodo domestico. Le cause primarie della fuga dei talenti italiani – retribuzioni non competitive, condizioni di lavoro insostenibili, carichi eccessivi e assenza di percorsi di carriera meritocratici – rimangono irrisolte.

Questa dinamica genera una perdita netta per l'Italia, caratterizzata non solo dalla "fuga dei cervelli" e dall'investimento formativo perso, ma anche da un potenziale rischio per la qualità e la sicurezza delle cure, legato a un sistema di reclutamento frammentato e a una crescente dipendenza da soluzioni precarie. Il rapporto conclude che, in assenza di riforme strutturali coraggiose e immediate volte a migliorare l'attrattività della professione infermieristica all'interno del SSN, l'Italia è destinata a un futuro di dipendenza crescente dall'estero, con un progressivo deterioramento degli standard assistenziali e della sostenibilità del suo sistema sanitario. 

Capitolo 1: il deficit strutturale: contesto della crisi infermieristica Italiana

1.1 Quantificare la carenza cronica: Italia vs. Europa

Il fenomeno migratorio infermieristico non può essere compreso appieno senza prima inquadrare il problema fondamentale che lo alimenta: una carenza strutturale e cronica di personale infermieristico nel Servizio Sanitario Nazionale italiano. I dati comparativi a livello europeo dipingono un quadro allarmante, posizionando l'Italia in una condizione di netto svantaggio rispetto ai suoi principali partner.

Il dato più emblematico è il rapporto tra infermieri e popolazione. In Italia si contano tra i 6.2 e i 6.5 infermieri ogni 1.000 abitanti.1 Questo valore è drammaticamente inferiore alla media dell'Unione Europea, che si attesta tra 8.2 e 8.4 professionisti per 1.000 abitanti 1, e abissalmente distante dai livelli di Paesi considerati benchmark per la qualità dei loro sistemi sanitari, come la Germania (con 12-13 infermieri), la Finlandia (14) o la Svizzera (18).1

Ancora più critica è la situazione se si analizza il rapporto tra infermieri e medici, un indicatore chiave dell'equilibrio e dell'efficienza del "skill mix" professionale all'interno di un sistema sanitario. In Italia, questo rapporto è di circa 1.5 infermieri per ogni medico, un valore nettamente inferiore alla media dei Paesi OCSE, che è di 2.28-2.6.3 Questa anomalia colloca l'Italia tra gli ultimi in Europa, davanti solo a nazioni come la Spagna e la Lettonia.3

Un rapporto così sbilanciato non è un mero dato statistico, ma un fattore che amplifica la crisi, generando inefficienze e sovraccarico professionale. Un numero insufficiente di infermieri a supporto di ogni medico costringe i primi a operare in un modello puramente orientato al compito ("task-oriented") piuttosto che a un approccio di presa in carico olistica del paziente. Questo non solo aumenta il carico di lavoro e lo stress, ma riduce drasticamente la soddisfazione professionale, alimentando il desiderio di emigrare verso sistemi sanitari dove la professione è meglio supportata, valorizzata e integrata in team multidisciplinari più equilibrati, come avviene in Germania o nel Regno Unito.9

1.2 La bomba demografica e le "grandi dimissioni"

Alla carenza strutturale si sommano due forze interne che stanno erodendo la forza lavoro infermieristica dall'interno, con una velocità e una magnitudine che rendono il sistema sempre più fragile. La prima è una "bomba a orologeria" demografica, la seconda è un'ondata di dimissioni volontarie che ha assunto le proporzioni di una vera e propria "grande dimissione" dalla sanità pubblica.

Il sistema si trova di fronte a un'imminente "gobba pensionistica". Le proiezioni indicano che nei prossimi dieci anni circa 78.000-80.000 infermieri lasceranno il Servizio Sanitario Nazionale per raggiunti limiti di età, con una media di circa 8.600 pensionamenti all'anno.3 Questo esodo programmato non è compensato da un adeguato ricambio generazionale. La professione infermieristica sta perdendo la sua attrattività per i giovani: un neolaureato su quattro abbandona il percorso di studi prima di completarlo, e il rapporto tra le domande di ammissione ai corsi di laurea e i posti disponibili è sceso a 0.97, indicando che, per la prima volta, non esiste più una reale selezione all'ingresso.3 Lo Stato investe circa 30.000 euro per formare un infermiere, ma non riesce a capitalizzare questo investimento, perdendo molti professionisti subito dopo la laurea.6

Tuttavia, il dato più allarmante, che spesso viene messo in ombra dal dibattito sulla "fuga all'estero", è l'emorragia causata dalle dimissioni volontarie. Tra il 2021 e il 2024, oltre 43.000 infermieri hanno lasciato di propria iniziativa il settore pubblico. Il fenomeno ha subito un'accelerazione drammatica: nei soli primi nove mesi del 2024, si sono registrate oltre 20.000 dimissioni volontarie, un aumento di quasi il 170% rispetto all'anno precedente.12 Confrontando queste cifre, emerge una realtà ineludibile: l'esodo interno dal SSN è un fenomeno di magnitudine molto superiore a quello esterno verso altri Paesi. Se le stime sull'emigrazione annuale variano tra 3.800 e 6.000 unità 2, le dimissioni volontarie rappresentano un'uscita dal sistema pubblico di dimensioni triple o quadruple. Questo sposta il focus del problema: la questione centrale non è solo l'attrattività dei sistemi sanitari esteri, ma la crescente e profonda non-attrattività del Servizio Sanitario Nazionale italiano come datore di lavoro.

Le ragioni che spingono un infermiere a lasciare l'Italia sono le stesse che lo spingono a lasciare un ospedale pubblico per il settore privato, la libera professione o un altro mestiere: retribuzioni inadeguate, carichi di lavoro insostenibili e burnout. La vera battaglia per la sostenibilità del SSN si gioca sulla capacità di trattenere i professionisti già presenti, prima ancora che sulla capacità di reclutarne di nuovi dall'estero.

Capitolo 2: l'esodo: il flusso in uscita del talento infermieristico Italiano

2.1 Quantificare l'esodo: un'analisi multi-fonte

Determinare con precisione il numero di infermieri italiani che hanno lasciato il Paese per lavorare all'estero è complesso, a causa della varietà delle fonti e delle metodologie di raccolta dati. Tuttavia, incrociando le diverse stime disponibili, è possibile delineare un quadro sufficientemente chiaro della portata del fenomeno.

Il dato cumulativo più citato indica che, nel tempo, circa 20.000 infermieri formati in Italia si sono trasferiti stabilmente all'estero.1 Questa cifra trova conferma nei dati OCSE per il triennio 2019-2021, che registravano 15.109 infermieri italiani attivi in altri Paesi, un dato che peraltro non includeva la Germania, dove si stima lavorino circa 2.700 professionisti italiani.3

Più complessa è la stima del flusso annuale, che presenta notevoli discrepanze. Alcune fonti giornalistiche, basate su proiezioni sindacali, riportano cifre molto elevate: 6.000 infermieri avrebbero lasciato l'Italia nel 2023, con una previsione di ulteriori 8.000 entro la fine del 2024.2 Altre stime, come quelle dell'Associazione Medici di Origine Straniera in Italia (AMSI), indicano che 350 infermieri hanno lasciato il Paese nei primi tre mesi del 2024, un dato che si basa sulla richiesta del "certificato di buona condotta" necessario per il trasferimento.13 Dati ufficiali della Federazione Nazionale degli Ordini delle Professioni Infermieristiche (FNOPI), basati sulle cancellazioni dagli albi provinciali per trasferimento all'estero, forniscono una stima più conservativa di 200-300 trasferimenti stabili all'anno.1 Infine, altre analisi riportano un flusso di circa 3.800 emigrati nel 2021, in calo rispetto ai 6.000 degli anni precedenti, un rallentamento temporaneo attribuito alle assunzioni straordinarie post-pandemia.3

Questa ampia forbice di dati (da 300 a 8.000 uscite annue) non è solo indice di difficoltà nella raccolta, ma riflette la complessità del fenomeno migratorio stesso. La cifra più bassa della FNOPI, basata sulle cancellazioni formali, cattura probabilmente solo i trasferimenti definitivi, quelli di chi ha deciso di recidere completamente i legami professionali con l'Italia.

Le stime più alte, invece, includono verosimilmente anche forme di mobilità più fluide: contratti a tempo determinato, lavoro transfrontaliero (particolarmente rilevante per regioni come Lombardia e Piemonte verso la Svizzera), e professionisti che hanno avviato le pratiche per il trasferimento senza aver ancora formalizzato la cancellazione dall'albo. La tendenza generale, al di là delle fluttuazioni annuali legate a eventi specifici come la Brexit o le politiche di assunzione post-Covid, indica un'emorragia costante e significativa di capitale umano qualificato.

2.2 Mappare le destinazioni e i fattori di attrazione

Le destinazioni scelte dagli infermieri italiani non sono casuali, ma seguono rotte ben definite verso Paesi che offrono un pacchetto di condizioni professionali ed economiche nettamente superiore. I fattori di attrazione, o "pull factors", possono essere sintetizzati in tre categorie principali: migliori retribuzioni, maggiori opportunità di carriera e migliori condizioni di lavoro.2

Le principali nazioni di destinazione sono:

  • Regno Unito: storicamente la meta più ambita, ha attratto un numero di infermieri italiani che, negli ultimi anni, ha oscillato tra un minimo di 3.100 e un massimo di 4.700 all'anno, sebbene il flusso possa aver subito un rallentamento a seguito della Brexit.2
  • Svizzera: particolarmente attraente per gli infermieri del Nord Italia, attira circa 1.100-1.200 professionisti italiani ogni anno, offrendo stipendi tra i più alti d'Europa.2
  • Germania: un'altra destinazione chiave, ricercata per la stabilità del sistema sanitario e le buone condizioni contrattuali.2
  • Belgio e Paesi Bassi: nazioni emergenti come mete di emigrazione, che stanno attivamente reclutando personale sanitario italiano con offerte economiche e pacchetti di relocation molto competitivi.15

L'Italia si trova quindi in una posizione peculiare: continua a perdere professionisti altamente formati verso i Paesi del Nord Europa, più ricchi e con sistemi sanitari meglio strutturati, mentre, come si vedrà nel capitolo successivo, cerca di compensare queste perdite attirando personale da nazioni con condizioni economiche meno favorevoli, principalmente dall'Est Europa e da altri continenti.18

Capitolo 3: l'afflusso: il flusso in entrata di professionisti stranieri

3.1 Quantificare l'afflusso: un sistema a due livelli

Mentre l'Italia perde i suoi infermieri, ne attira un numero ancora maggiore dall'estero per tentare di arginare una carenza altrimenti ingestibile. L'analisi dei dati rivela che la forza lavoro infermieristica straniera in Italia non è un blocco monolitico, ma è composta da due coorti distinte, soggette a percorsi di ingresso e verifica molto diversi.

Il numero totale di infermieri stranieri attivi in Italia è stimato in oltre 38.000 unità 2, con alcune fonti che riportano cifre aggiornate fino a 43.600.20 Questo contingente rappresenta ormai oltre il 10% del totale degli infermieri attivi nel Paese.21 La sua composizione è la seguente:

  1. Infermieri con riconoscimento ordinario: circa 25.000-26.600 professionisti sono regolarmente iscritti agli Ordini provinciali (OPI) dopo aver completato l'iter standard di riconoscimento del titolo di studio e aver superato gli esami di lingua e deontologia previsti dalla legge.2 Dati aggiornati ad aprile 2024 mostrano che questo gruppo è composto da 15.419 infermieri provenienti da Paesi dell'Unione Europea e 9.528 da Paesi extra-UE.3
  2. Infermieri ammessi in deroga: un secondo gruppo significativo, composto da oltre 13.200 professionisti, è entrato nel sistema sanitario italiano attraverso canali emergenziali che hanno previsto procedure semplificate o la deroga temporanea ai normali controlli. Questo contingente include circa 11.150-11.500 infermieri reclutati durante la pandemia tramite il "Decreto Cura Italia" e altri 1.700-1.800 arrivati a seguito del "Decreto Ucraina".2

La coesistenza di questi due percorsi di ingresso ha creato di fatto un sistema a due livelli, che solleva importanti questioni strategiche. La presenza di una vasta coorte di professionisti che opera in deroga alle procedure standard di verifica delle competenze rappresenta un rischio potenziale per la sicurezza delle cure.

La FNOPI ha espresso forte preoccupazione su questo punto, sottolineando la necessità di ricondurre tutti i professionisti all'interno di percorsi di verifica codificati per evitare la creazione di "assistiti di serie A e assistiti di serie B" e per garantire uno standard uniforme di qualità.22 La proroga di queste deroghe fino al 31 dicembre 2027 23 trasforma quella che doveva essere una misura eccezionale e temporanea in una sorta di canale di immigrazione parallelo e strutturale, istituzionalizzando il rischio e rimandando una soluzione organica al problema del riconoscimento delle qualifiche.

3.2 Mappare le origini e i canali di reclutamento

La provenienza geografica degli infermieri stranieri in Italia è molto concentrata. La comunità più numerosa è di gran lunga quella rumena, con circa 12.000 professionisti, che da sola costituisce quasi un terzo dell'intero contingente straniero. Seguono, a notevole distanza, la Polonia (circa 2.000), l'Albania (circa 1.848), l'India (circa 1.842) e il Perù (circa 1.500).5

Il reclutamento di questi professionisti è un processo attivo e in continua evoluzione. L'ingresso di infermieri stranieri è agevolato dal fatto che la procedura è al di fuori delle quote annuali stabilite dal "Decreto Flussi", permettendo alle strutture sanitarie di presentare richiesta in qualsiasi momento dell'anno.4 Recentemente, si sono intensificate le iniziative per attrarre personale da nuovi bacini, in particolare dall'India, i cui diplomi sono considerati di buona qualità e riconoscibili dal sistema italiano, e dal Sud America, con migliaia di professionisti che hanno manifestato interesse a lavorare in regioni come la Lombardia.5

Questa politica di reclutamento attivo, sebbene necessaria per la sopravvivenza del sistema nel breve periodo, espone l'Italia alle dinamiche del mercato globale della sanità, trasformandola in un Paese che compete per attrarre risorse umane per compensare quelle che non riesce a trattenere.

Capitolo 4: un'analisi comparativa: Italia vs. paesi di destinazione chiave

La decisione di un infermiere italiano di emigrare è raramente impulsiva; è quasi sempre il risultato di un'analisi razionale che confronta le prospettive professionali, economiche e di vita offerte dall'Italia con quelle di altri Paesi. Un'analisi comparativa diretta tra l'Italia e le principali nazioni di destinazione (Svizzera, Regno Unito e Germania) mette in luce le profonde disparità che alimentano l'esodo.

4.1 Il divario economico: retribuzione e potere d'acquisto

Il fattore economico è senza dubbio il motore primario della fuga all'estero. Gli stipendi degli infermieri italiani sono tra i più bassi d'Europa, sia in termini assoluti che relativi. La retribuzione media lorda annua in Italia si attesta intorno ai 32.400-32.600 euro, un valore inferiore di circa il 20% rispetto alla media europea di circa 39.800 euro.7 Se si considera il dato a parità di potere d'acquisto (PPA), il divario è ancora più evidente: un infermiere italiano guadagna 48.931 dollari PPA, ben 9.463 dollari in meno rispetto alla media OCSE di 58.394 dollari.29

Il confronto con le principali destinazioni è impietoso. In Svizzera, la retribuzione media annua può raggiungere gli 81.600 franchi svizzeri (circa 75.000 euro), più del doppio rispetto all'Italia.30 Nel Regno Unito, uno stipendio base per un infermiere (Band 5) si aggira intorno alle 31.900 sterline in Scozia (circa 37.000 euro), ma può aumentare significativamente con le indennità per turni e per l'alto costo della vita nelle grandi città come Londra.31

In Germania, la retribuzione mensile lorda oscilla tra i 2.400 e i 2.800 euro, portando lo stipendio annuo base a un livello superiore a quello italiano, senza contare le migliori condizioni contrattuali.9 Questa voragine salariale rende l'emigrazione una scelta economicamente quasi obbligata per chi cerca una giusta valorizzazione del proprio lavoro.

4.2 Il divario nella qualità della vita lavorativa: condizioni e percorsi di carriera

Oltre al denaro, sono le condizioni di lavoro e le prospettive di carriera a spingere gli infermieri a lasciare l'Italia. Il sovraccarico di lavoro è un problema endemico nel SSN. Il rapporto infermiere-paziente in Italia ha una media di 9.5, ma in alcune realtà regionali e in alcuni reparti può raggiungere livelli critici di 17-19 pazienti per infermiere.1 Questi valori sono nettamente superiori agli standard di sicurezza e alle medie di altri Paesi europei, dove il rapporto varia da 5.4 in Norvegia a un massimo di 13 in Germania.1

Anche la gestione dell'orario di lavoro è un fattore determinante. Mentre in Italia sono comuni turni estenuanti di 14 o 17 ore, spesso con straordinari non retribuiti o non adeguatamente regolamentati, in Paesi come la Germania vige un rispetto rigoroso della normativa, con un massimo di 10 ore giornaliere e con gli straordinari che vengono effettuati in giorni diversi per non superare il monte ore.9 Nel Regno Unito, la settimana lavorativa standard è di 37.5 ore.35

Infine, l'assenza di percorsi di carriera chiari e meritocratici in Italia è un forte fattore di demotivazione. Mentre in Svizzera e nel Regno Unito esistono percorsi strutturati per l'avanzamento professionale, con il riconoscimento di ruoli specialistici e di pratica avanzata (come gli Advanced Practice Nurses - APN), in Italia la progressione di carriera è spesso lenta, legata all'anzianità più che al merito, e le opportunità di sviluppo professionale (master, corsi di specializzazione) sono quasi sempre a carico del singolo professionista.9 All'estero, al contrario, la formazione continua è vista come un investimento da parte del datore di lavoro.9

La tabella seguente riassume in modo schematico queste disparità, offrendo una visione d'insieme dei motivi per cui un infermiere italiano può considerare il trasferimento all'estero non solo un'opportunità, ma una necessità per la propria crescita professionale e il proprio benessere. 

Metrica

Italia

Svizzera

Regno Unito

Germania

Salario Medio Lordo Annuo (€)

~€32.400 7

~€75.000 (CHF 81.600) 30

~€37.000 (£31.892 in Scozia, Band 5) 31

~€36.000+ (a partire da €2.400-2.800/mese) 9

Ore settimanali standard

36, ma spesso superate con straordinari non regolamentati 9

38-42, con tendenza verso le 38 ore 40

37.5 35

38.5-40, con rigida regolamentazione degli straordinari 9

Rapporto medio infermiere/paziente

9.5 (può raggiungere 17-19) 1

Alta densità di infermieri (18 per 1.000 ab.) suggerisce rapporti migliori 1

Variabile, ma i livelli di organico sono un focus politico chiave

13 (massimo) 1

Giorni di ferie annuali

28 + festività

4-5 settimane standard

35-41 (incl. festività, in base all'anzianità) 41

25-30

Progressione di carriera

Limitata, lenta, spesso non basata sul merito 7

Forte, con riconoscimento federale di ruoli avanzati (APN) 38

Strutturata (Bande NHS), percorsi chiari per l'avanzamento 10

Incoraggiata, formazione finanziata dal datore di lavoro 9

Capitolo 5: il bilancio: valutazione dell'impatto netto sul Sistema Sanitario Italiano

L'analisi dei flussi migratori in entrata e in uscita non può limitarsi a un mero conteggio numerico. Il "bilancio" richiesto deve valutare l'impatto netto di questa dinamica sul Servizio Sanitario Nazionale, un impatto che si manifesta su due fronti principali: quello economico e, in modo ancora più critico, quello della qualità e sicurezza dell'assistenza erogata ai cittadini.

5.1 Il ritorno sull'investimento negativo: sovvenzionare la sanità di nazioni più ricche

Ogni infermiere che lascia l'Italia rappresenta una perdita economica secca e un ritorno sull'investimento (ROI) negativo per lo Stato. Il sistema pubblico investe una cifra stimata di circa 30.000 euro per la formazione universitaria di ogni singolo infermiere.6 Quando un professionista appena formato, o con anni di esperienza, decide di emigrare, questo investimento non viene perso, ma viene di fatto trasferito a beneficio del sistema sanitario del Paese di destinazione. L'Italia, quindi, si trova nella posizione paradossale di sovvenzionare, con le proprie risorse, la sanità di nazioni economicamente più forti.

Questa perdita economica, tuttavia, non si limita al solo costo della formazione. È un danno composto che si articola su più livelli. In primo luogo, vi è la perdita del gettito fiscale che quel professionista qualificato avrebbe generato nel corso della sua intera vita lavorativa. In secondo luogo, vi sono i costi diretti e indiretti legati alla sua sostituzione, spesso con un professionista straniero. Questi costi includono le spese per le agenzie di reclutamento, gli oneri amministrativi per il riconoscimento dei titoli, e i costi per la formazione linguistica e l'integrazione nel sistema.

Infine, e forse in modo più significativo, vi sono i costi sistemici derivanti dalla carenza di personale, che studi internazionali hanno dimostrato essere tutt'altro che trascurabili. Un organico insufficiente porta a un aumento delle complicanze post-operatorie, a degenze ospedaliere più lunghe e a un maggior numero di eventi avversi, tutti fattori che generano costi aggiuntivi per il sistema sanitario.44

In quest'ottica, un investimento mirato a trattenere il personale esistente, ad esempio attraverso un aumento salariale, risulterebbe molto più efficiente dal punto di vista economico rispetto all'assorbire i costi composti e ricorrenti generati dall'emorragia di talenti.

5.2 L'impatto sulla qualità e la sicurezza del paziente: una questione di vita o di morte

Al di là delle considerazioni economiche, il bilancio più grave della crisi infermieristica si misura in termini di salute e vite umane. Una mole crescente di evidenze scientifiche dimostra in modo inconfutabile la correlazione diretta tra la carenza di infermieri e l'aumento della mortalità e degli esiti avversi per i pazienti.

Studi condotti nel Regno Unito e pubblicati su riviste scientifiche prestigiose come il British Journal of Surgery hanno quantificato questo rischio: ogni singolo giorno di carenza di personale infermieristico in un reparto comporta un aumento del 9.2% del rischio di mortalità per i pazienti ricoverati.44 Un'altra ricerca ha evidenziato che il tasso di mortalità è inferiore del 20% nei reparti in cui ogni infermiere assiste 6 o meno pazienti, rispetto a quelli in cui il carico supera i 10 pazienti.47 Lo studio RN4CAST, nella sua edizione italiana, ha applicato questi modelli al contesto nazionale, calcolando che il rapporto medio italiano di 1 infermiere per 9.5 pazienti determina un aumento del rischio di mortalità del 21% rispetto allo standard ottimale di 1 a 6.43

La carenza di personale non impatta solo sulla mortalità, ma anche sulla frequenza di eventi avversi prevenibili. Lo stesso studio britannico ha correlato l'insufficienza di organico a un aumento del 4.8% dei casi di trombosi venosa profonda, del 5.7% di polmoniti nosocomiali e del 6.4% di ulcere da decubito.46 Questi dati trovano riscontro nell'esperienza diretta degli infermieri italiani. Lo studio BENE ha rivelato che sei infermieri su dieci in Italia soffrono di burnout 48, una condizione di esaurimento psico-fisico che aumenta la probabilità di errori. In questo contesto, non sorprende che solo il 3.2% degli infermieri italiani percepisca il livello di sicurezza per il paziente nel proprio ospedale come "eccellente".43

Questi dati dimostrano che livelli di organico insicuri non sono un'eccezione o una crisi temporanea, ma la realtà quotidiana e normalizzata in molte strutture del SSN. Il sistema opera strutturalmente in condizioni che la letteratura scientifica ha provato essere pericolose per i pazienti. Le cosiddette "missed care", ovvero le cure mancate (come la mobilizzazione del paziente, la sorveglianza, l'educazione sanitaria), diventano una prassi inevitabile quando il personale è insufficiente.34

Il bilancio finale, quindi, non riguarda solo il numero di infermieri in entrata o in uscita, ma si misura in termini di qualità dell'assistenza compromessa e, in ultima analisi, di vite perse che avrebbero potuto essere salvate.

Capitolo 6: raccomandazioni strategiche per riequilibrare il sistema

Affrontare la crisi migratoria infermieristica richiede un cambio di paradigma: da una gestione emergenziale e reattiva a una strategia organica e di lungo periodo. Le soluzioni non possono limitarsi a tappare le falle con reclutamenti internazionali, ma devono aggredire le cause profonde che rendono il SSN un ambiente professionalmente ed economicamente insostenibile.

6.1 Dalla ritenzione alla ri-attrazione: un nuovo patto per gli infermieri italiani

L'obiettivo primario e più urgente deve essere quello di fermare l'emorragia di personale qualificato. Questo richiede un "nuovo patto" con la professione infermieristica, basato su azioni concrete e tangibili.

  • Valorizzazione economica: è indispensabile avviare un piano pluriennale di investimenti per allineare le retribuzioni degli infermieri italiani alla media europea. L'intervento deve concentrarsi sull'aumento dello stipendio tabellare di base, riducendo la dipendenza da indennità, straordinari e bonus. Parallelamente, si dovrebbero esplorare forme di detassazione e incentivi fiscali, in particolare per i professionisti che operano in aree critiche come i pronto soccorso o in zone geografiche a forte carenza di personale.49
  • Miglioramento delle condizioni di lavoro: si raccomanda l'introduzione per via legislativa di standard minimi nazionali per il rapporto infermiere-paziente, differenziati per intensità di cura. L'applicazione di tali standard dovrebbe essere monitorata da un'autorità indipendente. È inoltre cruciale investire in personale di supporto (Operatori Socio-Sanitari) e in tecnologie che possano sollevare gli infermieri da compiti non assistenziali, permettendo loro di operare al massimo delle proprie competenze ("top of license").11
  • Creazione di percorsi di carriera: è necessario istituire e finanziare percorsi di carriera clinica chiari e meritocratici, che non costringano l'infermiere a scegliere tra l'assistenza diretta e un ruolo manageriale per progredire. L'introduzione formale e la valorizzazione contrattuale di figure come l'Infermiere di Pratica Avanzata (APN), sul modello di Svizzera e Regno Unito, offrirebbe opportunità di crescita professionale e di specializzazione, trattenendo i talenti più ambiziosi all'interno del sistema.38

6.2 Ricostruire la filiera formativa: rendere l'infermieristica una carriera di scelta

Parallelamente alle azioni di ritenzione, è fondamentale agire sulla sostenibilità a lungo termine della professione, rendendola nuovamente una scelta ambita per le nuove generazioni.

  • Investimento nella formazione: è necessario invertire la tendenza dei posti universitari che vanno deserti, finanziando un ampliamento controllato dei corsi di laurea in infermieristica. Questo ampliamento deve essere accompagnato da investimenti adeguati nel corpo docente e nelle strutture per il tirocinio clinico, garantendo un'alta qualità formativa.3
  • Rinnovamento dell'immagine professionale: si raccomanda il lancio di una campagna nazionale di comunicazione per riposizionare l'immagine dell'infermiere, superando la visione obsoleta di una professione puramente vocazionale. La campagna dovrebbe enfatizzare la base scientifica, l'autonomia, la responsabilità e le diverse opportunità di carriera che la professione offre in un sistema sanitario moderno.

6.3 Un approccio strategico al reclutamento internazionale

Il ricorso a professionisti stranieri rimarrà una componente necessaria, ma deve evolvere da soluzione tampone a strategia complementare, gestita con rigore e lungimiranza.

  • Garanzia degli standard di qualità: è prioritario superare il regime delle deroghe emergenziali. Tutti i professionisti sanitari con titolo estero devono essere ricondotti all'interno del percorso ordinario di verifica delle competenze e di iscrizione agli Ordini professionali. Questo include il superamento di esami rigorosi di lingua italiana e di conoscenza della normativa e deontologia professionale, al fine di garantire uno standard di cura uniforme e sicuro per tutti i cittadini.22
  • Accordi bilaterali e integrazione: l'Italia dovrebbe promuovere accordi bilaterali con i principali Paesi di provenienza. Tali accordi dovrebbero prevedere percorsi strutturati di preparazione linguistica e professionale da svolgersi prima dell'arrivo in Italia, facilitando un'integrazione più rapida, efficace e sicura dei nuovi professionisti nel contesto del SSN.
  • Reciprocità e complementarietà: il reclutamento internazionale deve essere visto come una strategia complementare, e non sostitutiva, degli sforzi per valorizzare la forza lavoro domestica. L'obiettivo finale non deve essere quello di diventare permanentemente dipendenti dall'importazione di personale, ma di creare un sistema sanitario così attrattivo da essere in grado di trattenere i propri talenti e, potenzialmente, di riattirare coloro che sono emigrati.

 Foto di Dan Cristian Pădureț 

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