È forse questo il dilemma? Due termini che hanno lasciato una porta aperta di profonda riflessione a partire dall’ intervento di un collega durante un workshop nella tre giorni di Rimini: “Demansionamento o è più preciso parlare di dequalificazione?”.
In viaggio di ritorno dal III congresso della FNOPI, diretta verso la corsia di reparto, cerco di colmare lo spazio tra questi due concetti così vicini tra loro, divisi da una sottigliezza semantica.
Demansionamento ha una connotazione giuridica è un termine acuto, accurato, meticoloso e con queste caratteristiche individua precisamente il mutamento peggiorativo e sfavorevole delle mansioni lavorative così come da Codice Civile.
Il demansionamento è dunque un atto formale, impugnabile giuridicamente. La perdita di competenze, l’impoverimento, lo svilimento professionale, anche senza una modifica formale delle mansioni - che può derivare, ad esempio, dall’assegnazione di compiti ripetitivi - non sono necessariamente riconducibili ad un concetto giuridico, ma hanno un forte impatto sulla carriera e sulla soddisfazione lavorativa.
Questo sposta la discussione su un concetto che appartiene alla stessa famiglia di significato ma che, in un accezione più ampia, trova dimora nel termine dequalificazione. Se un infermiere viene assegnato a compiti monotoni o di scarso valore aggiunto, rischia di perdere le competenze più avanzate che aveva acquisito o perde completamente l’interesse nel volerne acquisire. Anche mantenendo lo stesso titolo di lavoro, si può subire una dequalificazione se le proprie responsabilità vengono ridotte o se il proprio contributo viene reso marginale. Tagli al personale, accorpamenti di reparti o politiche aziendali volte al risparmio possono ridurre il valore dei professionisti della salute. Dalla dequalificazione ne deriva perdita di motivazione, frustrazione, senso di inutilità, difficoltà nel trovare nuove opportunità lavorative, riduzione delle prospettive di carriera, minori possibilità di avanzamento professionale.
Se si vuole trovare un gap tra i due termini ed arginare l’ abisso del declino di un lavoratore allora bisogna riempirlo con una serie di situazione qualificanti che contrastino con eccellenza il sentimento di deprezzamento e svalutazione.
Si potrebbe cominciare dalla formazione continua, aggiornarsi costantemente per rimanere competitivi nel mercato del lavoro; la proattività professionale, acquisire o proporre innovazioni nel proprio ruolo; il networking, mantenere contatti professionali per cogliere nuove opportunità di crescita.
Dunque, se il demansionamento è un atto formale e giuridicamente impugnabile, la dequalificazione è spesso crescente e progressiva, ma nella bilancia dei sentimenti del lavoratore pesano allo stesso modo e sono entrambe dannose.
Raimondi Federica
