Quando la Cura Incontra il Limite: Domande e Riflessioni di un Infermiere

La recente scomparsa di un grande Autore italiano, dopo una lunga malattia, ha riacceso il dibattito sul ruolo della sanità di fronte alla morte. La sua vita è stata straordinaria, ma la sua morte, avvenuta tra ricorsi e la speranza di un "vivere" che forse solo per poco si poteva ancora chiamare vita, solleva interrogativi sul prolungamento artificiale dell'esistenza e sulla qualità della vita negli ultimi giorni.

Immaginiamo un caso simile: un nostro assistito, cardiopatico, con un'infezione multiresistente, allettato da quasi un anno e con lesioni da pressione. Decesso per scompenso multiorgano. Nascere e morire sono due costanti universali, possiamo solo decidere come vivere nel mezzo. Ma possiamo chiedere alla sanità di non farci morire? E se si muore, la sanità ha sempre sbagliato?

Ecco una di quelle riflessioni di cui non so prevedere la conclusione... La storia continua dopo il decesso. Dal punto di vista assistenziale, il nostro agire era orientato a non arrecare ulteriore danno o disturbo, in quanto era prevedibile un'evoluzione naturale della malattia. Ma dal punto di vista umano, abbiamo visto il dito puntato contro di noi e la richiesta di un'autopsia.

In ospedale ci sono situazioni in cui la vita è portata al limite. Limiti che a poco a poco vengono superati, ma che sono sostenibili solo per un periodo limitato. È vero che la sanità commette errori, errori che possono portare alla morte. Ma per ogni notizia di malasanità che arriva ai media, ci sono migliaia di azioni corrette. E in molte situazioni, come quella del nostro Autore, ci sono elementi predittivi che delineano un'evoluzione naturale della malattia. La scelta, allora, non è più procrastinare l'inevitabile, ma rendere migliori gli ultimi giorni di vita.

Oggi chiunque, anche di fronte all'evidenza di un decesso naturale, può denunciare i medici e chiedere allo Stato di rivedere il caso. Che effetto ha questo sugli operatori sanitari? Messi di fronte alla minaccia di una denuncia, fanno di tutto per tenere in vita il paziente, o meglio, per tenere i suoi parametri vitali nella norma. Ma la vita è un'altra cosa.

Oggi la sanità affronta la morte in modo chiaro solo nei percorsi trapianto, dove la morte di uno diventa opportunità di vita per un altro. Un altro contesto in cui si affronta apertamente il tema della morte imminente sono gli hospice, luoghi pensati per il benessere della persona nell'attesa dell'evento naturale. Evento naturale che i familiari, per interessi economici o per fattori emotivi, spesso non accettano. E quindi?

Continuiamo con TAC e accertamenti a oltranza per tutelare medici e infermieri da possibili denunce? L'assistito subisce questa "medicina difensiva" nella speranza di trovare qualcosa che non si è visto, di una cura miracolosa, di qualche giorno in più con parametri vitali nella norma. Ma parametri nella norma non significano che la malattia non progredisca, che il decesso sia più lontano.

Al dato clinico quantitativo, dovremmo affiancare un dato qualitativo. Qual è la qualità di vita che diamo ai nostri assistiti in attesa del decesso? Alleviamo il dolore fisico? Diamo conforto? Favoriamo le relazioni familiari? Supportiamo i familiari nell'affrontare l'inevitabile? Tutto questo è previsto nei protocolli dell'ASL? Non credo. Nella fase di decesso imminente, il lavoro in presenza dei familiari è fondamentale. Il conforto che si può dare con poche parole ha un impatto immediato: "L'assistito non soffre" e "Io sono qui".

Se oggi la sanità può essere chiamata in causa per non aver fatto abbastanza, in futuro potremmo assistere alla situazione opposta: denunce per accanimento terapeutico, per aver causato eccessiva sofferenza. Sarebbe l'opposto della denuncia per omissione, e il concetto di malasanità verrebbe ribaltato. Forse nella normativa italiana si troverebbero degli appigli per questo tipo di denuncia. Ma con una sanità in cui l'operatore è spinto alla medicina difensiva per tutelarsi, e al contempo rischia di essere denunciato per eccesso di zelo, quale sarebbe il risultato? Una paralisi o una liberazione?

 

Foto di Anemone123 da Pixabay 

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