Fra i lavoratori del pubblico impiego in Sanità sono compresi gli infermieri che nel tempo hanno perso dei diritti basilari dei lavoratori, forse perchè ci raccontano che nel pubblico non si fa nulla e sentendoci dei privilegiati non guardiamo più i nostri diritti.
Il trattamento di fine servizio (TFS) ne è un esempio in quanto il dipendente pubblico cessa il rapporto di lavoro e da le dimissioni ad erogarlo è l'INPS e si prende 2 anni di tempo per pagare, mentre per i lavoratori del privato il termine è di mesi.
Il trattamento di fine servizio (TFS) è una quota capitale che si accumula nella misura di circa uno stipendio all'anno, che verrà erogata al dipendente stesso quando cessa il rapporto di lavoro.
Sia che dia le dimissioni per cambiare datore di lavoro o per andare in pensione. Inoltre, se si passa da un datore pubblico ad un altro e c'è la continuità dei giorni di lavoro il TFS non è corrisposto, ma prosegue l'accumulo del capitale.
La corte costituzionale ha pubblicato un comunicato e definito i tempi dell'INPS incostituzionali.
I tempi dell'INPS sono stati decisi a tavolino dai legislatori, una cosa che non ti aspetti dato che i servitori dello stato dovrebbero tutelare i cittadini e la costituzione.
Il comunicato riporta:
IL DIFFERIMENTO DEL T.F.S. È INCOMPATIBILE CON LA COSTITUZIONE: PRESSANTE INVITO AL LEGISLATORE A RIMUOVERLO GRADUALMENTE
Il differimento della corresponsione dei trattamenti di fine servizio (T.F.S.) spettanti ai dipendenti pubblici cessati dall’impiego per raggiunti limiti di età o di servizio contrasta con il principio costituzionale della giusta retribuzione, di cui tali prestazioni costituiscono una componente; principio che si sostanzia non solo nella congruità dell’ammontare corrisposto, ma anche nella tempestività della erogazione.
Si tratta di un emolumento volto a sopperire alle peculiari esigenze del lavoratore in una particolare e più vulnerabile stagione della esistenza umana.
Spetta al legislatore, avuto riguardo al rilevante impatto finanziario che il superamento del differimento comporta, individuare i mezzi e le modalità di attuazione di un intervento riformatore che tenga conto anche degli impegni assunti nell’ambito della precedente programmazione economico-finanziaria.
Lo ha affermato la sentenza n.130 (redattrice la giudice Maria Rosaria San Giorgio), con cui sono state dichiarate inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 2, del decreto-legge n. 79 del 1997, come convertito, e dell’art. 12, comma 7, del d.l. n. 78 del 2010, come convertito, che prevedono rispettivamente il differimento e la rateizzazione delle prestazioni.
Le questioni erano state sollevate dal Tribunale amministrativo per il Lazio, sezione terza quater, in riferimento all’art. 36 Cost. Tuttavia, la discrezionalità del legislatore al riguardo – ha chiarito la Corte – non è temporalmente illimitata.
E non sarebbe tollerabile l’eccessivo protrarsi dell’inerzia legislativa, tenuto anche conto che la Corte aveva già rivolto al legislatore, con la sentenza n.159 del 2019, un monito con il quale si segnalava la problematicità della normativa in esame.
La Corte ha poi rilevato che la disciplina del pagamento rateale delle indennità di fine servizio prevede temperamenti a favore dei beneficiari dei trattamenti meno elevati.
Comunque, conclude la Corte, tale normativa - che era connessa a esigenze contingenti di consolidamento dei conti pubblici - in quanto combinata con il differimento della prestazione, finisce per aggravare il rilevato vulnus.
Roma, 23 giugno 2023
Palazzo della Consulta, Piazza del Quirinale 41 - Roma
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Foto di Nattanan Kanchanaprat da Pixabay
