IL POTERE PRIVATISTICO DEL DIRIGENTE NEL PUBBLICO IMPIEGO

the bossIl D.lgs 29/93 giunge all’interpretazione del potere organizzativo e gestionale del dirigente tra materie di legge e contrattuali.

L’influenza dell’assetto giuridico ha sempre influenzato l’individuazione di un ruolo che si inserisce in un modello nuovo con le normative successive che conferiscono libertà ed autonomia.

Infatti il diverso assetto normativo che governerà il lavoro pubblico sarà la revisione legislativa contenuta nella Legge 4 marzo 2009, n.15 e poi nel decreto d.lgs. 150/2009.

Non di meno lo è stato il modello contrattuale che arrivò puntuale con l’Accordo quadro sugli assetti contrattuali del 22 gennaio 2009 e dall’Intesa del 30 aprile.

Queste norme mettono a fuoco quattro aree di intervento:

  • L’organizzazione delle pubbliche amministrazioni
  • La dirigenza e i suoi interlocutori
  • Le relazioni sindacali
  • Il rapporto di lavoro

Per comprendere meglio quale ambito applicativo si possa collocare la valutazione del potere del dirigente bisogna richiamare le disposizioni dell’art. 97 e art.117 della Costituzione che richiama Regioni, enti locali ed enti del SSN ad adeguarsi ai principi fondamentali dell’ordinamento:

  • Alta formazione
  • Aree funzionali
  • Strumenti di premi e meriti
  • Selettività delle progressioni economiche
  • Misurazione e valutazione della performance

Le materie invece che possono richiamare l’ordinamento processuale, civile e penale, e quindi di potestà dello stato sono:

  • Contratti collettivi e relazioni sindacali, rapporto di lavoro e partecipazione
  • Correlazione tra performance e attribuzione accessoria
  • Inderogabilità del contratto integrativo sui limiti di quello nazionale
  • Inderogabilità della contrattazione collettiva sulle disposizioni su premialità e merito
  • Inderogabilità della contrattazione collettiva delle disposizioni su sanzioni disciplinari
  • Qualità dei servizi e tutela degli utenti - Regolazione della contrattazione nazionale ed integrativa
  • Trasparenza e accesso ai dati

Le disposizioni che rappresentano tutt’oggi il perno del lavoro pubblico rimangono quelle descritte dal d.lgs 165/2001 e successive modificazioni e integrazioni.

Questa norma tratta infatti:

  • Materie organizzative e del rapporto di lavoro
  • La divisione dei poteri tra dirigente e politico
  • La contrattualizzazione del lavoro pubblico e la sua regolazione sulla base del codice civile e delle leggi in vigore per il settore privato
  • La configurazione del potere dirigenziale come potere privatistico (ex art.2094 c.c.) e non derivato da un autorità pubblica

Ciò che cambia nell’ultimo periodo sono i nuovi assetti contrattuali verificatosi nel 2018 i cui effetti hanno ripreso con maggiore discrezionalità la regolazione legislativa e gli orientamenti della giurisprudenza, della Cassazione e della Corte dei Conti, considerando tutte le fonti di leggi introdotti nella differenziazione tra pubblico e privato.

Viene così assicurato il rispetto della determinazione dei diritti e delle obbligazioni pertinenti al rapporto di lavoro al contratto collettivo.

Il ruolo del dirigente è fondamentale a questo punto dove obblighi e responsabilità rendono meno inerte il suo operato differenziandolo dal ruolo politico attraverso strumenti di programmazione, misurazione e verifica dei risultati.

La responsabilità nell’organizzazione e gestione del lavoro in senso macro-organizzativo ai quali si aggiunge la trasparenza e la valutazione non esime il dirigente dai principi costituzionali. Il dirigente si rapporta con la legge mediante due dimensioni: organizzativa e lavoristica.

Questo rapporto con le due dimensioni va distinto perché nel primo caso si colloca nell’ambito di regolazione dei rapporti tra un autorità di diritto pubblico ed un potere di diritto privato, nel secondo caso si colloca in quello di regolazione dei rapporti tra privati (dirigente e lavoratore o dirigente e organizzazioni sindacali).

La funzione organizzativa della legge si rapporta col potere dirigenziale limitandolo e orientandolo poiché entrambi sono poteri organizzativi e quindi entrare in equilibrio nel cosiddetto “potere datoriale” il quale viene inserito in un processo decisionale che non è unilaterale ma partecipato e/o condiviso con le organizzazioni sindacali. Non vi è nessuna concorrenza tra le personalità giuridiche coinvolte nel processo decisionale tant’è che Il d.lgs 165/2001 recupera in questo senso la tripartizione tra legge, poteri privatistici dirigenziali, contrattazione integrativa.

Tale decreto limita il potere del dirigente per gli aspetti di gestione del rapporto di lavoro e di macro-organizzazione che hanno diretto riferimento a vincoli costituzionali:

  • Responsabilità giuridiche attinenti ai singoli operatori nell’espletamento di procedure amministrative
  • I procedimenti di selezione per l’accesso al lavoro
  • I ruoli e le dotazioni organiche nonché la loro consistenza complessiva di ciascuna qualifica sono definite previa informazione alle organizzazioni sindacali interessate
  • La disciplina dell’incompatibilità tra impiego pubblico e altre attività
  • Incarichi pubblici

La gestione del rapporto di lavoro è assunta con la capacità e potere del privato datore di lavoro previa informazione dei sindacati. Seppur tale responsabilità sono assunte secondo i poteri privatistici il concetto di potere si giustifica perché derivato e non proprio del dirigente. Spesso e volentieri il dirigente fa del potere proprio nella più libera dinamica di confronto con le organizzazioni sindacali, i quali devono essere informati attraverso la loro competenza nell’ articolare le forme di partecipazione.

Il dirigente si trova ad operare in un contesto organizzativo piu monitorato e trasparente ricondotto agli esiti della giurisprudenza e della Conte dei conti. Garzie agli strumenti come la trasparenza di tipo informatico, programmatico, progettuale e valutativo, e sociale attraverso il coinvolgimento dei cittadini.

Nei confronti degli organi di rappresentanza politica e di superiorità gerarchica il dirigente si trova in una posizione di collaborazione operando secondo principi costituzionali quali l’imparzialità e il buon andamento. Il rapporto di superiorità gerarchica nei confronti del lavoratore va contemperato con l’ambito di operatività di questo potere che è limitato alla sola organizzazione del lavoro (art. 2094 c.c.) e in forme che non compromettono la dignità del lavoratore.

Il potere disciplinare va usato in maniera discrezionale per non compromettere il clima di collaborazione in un organizzazione di lavoro.

Il potere può indurre il dirigente ad essere meno disponibile e tollerante, questo rischio non è eliminabile ma arginabile con una presenza vigilante delle rappresentanze sindacali che sottopongono i comportamenti al vaglio della buona fede e correttezza confrontandoli coi principi contrattuali della tutela della dignità e della persona (antidiscriminazione, privacy, salute, mobbing, dequalificazione, ecc…).

I comportamenti lesivi e organizzativamente ingiustificati o addirittura controproducenti vanno sottoposti all’attenzione dell’organismo indipendente di valutazione che valuta il grado di benessere organizzativo e di condivisione del sistema; a questo organo va la rilevazione della valutazione del proprio superiore gerarchico da parte del personale secondo il principio della libertà sindacale, eguaglianza, libertà di espressione e di associazione perché tipico della funzione di direzione è anche quella di gestire il personale.

 

Foto di Tung Lam da Pixabay

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