Riporto un reprint autorizzato dell'articolo "Evoluzione e diffusione della cultura dei PICC in Italia" autori "Giancarlo Scoppettuolo (Istituto di Clinica delle Malattie Infettive), Antonio LaGreca e Mauro Pittiruti (Dipartimento di Scienze Chirurgiche, Università Cattolica di Roma)
INTRODUZIONE |
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Negli anni successivi, in particolare all’inizio degli anni ’70, essi furono più largamente impiegati, in particolare come accessi venosi per la nutrizione parenterale. La scarsa qualità dei materiali da cui erano all’epoca costituiti (polietilene o poliuretani di prima generazione) - causa di un eccesso di complicanze soprattutto
trombotiche - e la progressiva affermazione degli accessi venosi tunnellizzati, però, determinarono una progressiva dismissione dei PICC.
Un articolo di Ryan e coll., apparso sul New England Journal of Medicine nel 1974, concludeva che “a peripherally inserted central catheter invariably leads to thrombophlebitis, presumably because of excessive movement of the catheter at the insertion site and the small caliber of the vein” (4).
All’inizio degli anni ’90, la scoperta di nuovi materiali costitutivi (silicone) o il miglioramento di materiali preesistenti (poliuretani) determinarono una nuova e progressiva affermazione degli accessi venosi centrali a inserzione periferica. In quegli anni, i PICC venivano esclusivamente posizionati con la cosiddetta tecnica “blind”, cioè mediante venipuntura diretta delle vene della zona antecubitale del braccio, limitatamente perciò a quei pazienti che avessero vene visibili o palpabili in quella sede.
La sede di impianto e la tecnica di posizionamento appena descritte, però, da un lato restringevano il numero di pazienti cui era possibile posizionare tali presidi (le raccomandazioni GAVeCeLT del 1999 ritenevano candidati all’impianto di PICC solo pazienti con vene periferiche agibili), dall’altro continuavano a determinare una incidenza di complicanze meccaniche, trombotiche e infettive assai rilevante, pari a circa il 30% degli impianti.
A partire dal 2000, l’ultimo passaggio verso la consacrazione definitiva dei PICC come uno degli accessi venosi più diffusi al mondo fu il passaggio ad una tecnica di impianto che prevedesse l’impiego della guida ultrasonografica e l’utilizzo di un microintroduttore, così da permettere una tecnica di Seldinger
modificata. L’associazione tra tecnica ecoguidata e tecnica del microintroduttore permise di utilizzare come sede di impianto non più la zona antecubitale, ma il terzo medio del braccio, con un abbattimento delle complicanze sopra citate dal 30% al 2% circa (5-9).
Fu possibile, inoltre, estendere la possibilità di posizionare un PICC a tutti i pazienti, compresi quelli senza vene palpabili o visibili, superando un problema che fino a qualche tempo prima costituiva un limite invalicabile.
Per tali motivi, negli ultimi anni, i PICC hanno avuto una diffusione larghissima dapprima nei Paesi Anglosassoni - in particolare nel Nord America (attualmente, negli Stati Uniti, ne vengono venduti ogni anno quasi tre milioni, a fronte di 100.000 cateteri totalmente impiantati, di 200.000 CVC tunnellizzati a lungo termine tipo Groshong, Hickman o Broviac e di 5.000.000 di CVC a breve termine non tunnellizzati) - e, in tempi del tutto
più recenti, anche nell’Europa continentale e soprattutto in Italia.
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